L’incanto del Natale non deve ridursi a sentimento e a emotività. Ma deve servirsi anche dei sentimenti del cuore per farci riprendere sempre meglio la lotta per una vita (più) cristiana.
I Padri della Chiesa e i Maestri del cattolicesimo sapevano bene che vita militia est super terram, la vita è un combattimento duro e aspro, non sempre facile, ma sempre felice se si riflette sulla Causa e sullo Scopo dei nostri sforzi.
La Causa è Dio, e più immediatamente il Regno di Dio, la regalità sociale di Cristo nel mondo di oggi e di domani, per un futuro migliore del passato. Adveniat regnum tuum dicono fieramente i cristiani d’Oriente e di Occidente. Non è possibile immaginare un cattolico che non abbia il desiderio e l’auspicio di veder (ri)sorgere una società autenticamente cristiana. Cioè a misura dell’uomo e secondo il piano di Dio (Giovanni Paolo II).
Ma anche lo Scopo della nostra vita è Lui: Gesù di Nazareth, nato a Betlemme come uno di noi, ma eternamente vivo come il Padre e il suo divino Spirito.
Impossibile credere in Cristo se non si crede in Dio. Dio è eterno, mentre Gesù (come uomo) è in tutto uguale a noi, salvo il peccato (ed altri elementi secondari). Un tempo non esisteva Gesù di Nazareth e ci furono generazioni e interi secoli che non conobbero, sciaguratamente, il Figlio di Maria.
Certo Cristo, anche come semplice uomo, è grande, bello, forte. Così lo descrive un celebre Dizionario biblico di alcuni anni fa: “Il suo corpo era sano, robusto, temprato al calore e al freddo, fame e sete, cresciuto negli sforzi di lunghe camminate a piedi sui sentieri polverosi della Palestina, nelle fatiche di un’attività instancabile, che non gli permetteva alcun riposo, anzi talora neppure il tempo per mangiare. In questo corpo sano, abitava un’anima sana, che riuniva in sé i tratti di carattere opposti in meravigliosa armonia. Gesù possedeva uno sguardo limpido, una volontà ferrea e una fermezza incrollabile” (Herbert Haag).
Gesù supera Gesù, cioè il Messia ci porta infallibilmente ad adorare Dio che si cela dietro quel corpo umano senziente e quell’apparenza di pura umanità. La sua persona però è tutta divina, nelle due nature unite in modo misterioso e indissolubile.
C’è chi crede in Dio, ma non vuol credere in Cristo (e nella sua Chiesa) e questa è la situazione di tutti i credenti non cristiani. E’ meglio credere in Dio che non credere in nulla, certo, ma le fattezze di Dio sono così coincidenti con quelle del nostro Salvatore che c’è da pensare che costoro o hanno un falso concetto di Dio (politeismo, panteismo, islamismo, naturalismo) oppure ignorano la vera figura del Cristo Gesù.
C’è poi chi dice di amare Cristo, ma di non riuscire ad ammetterne la divinità, e quindi di restare in una sorta di agnosticismo teologico, pur nell’apprezzamento – che non è ancora fede – del fondatore del cristianesimo e della Chiesa. Anche questo appare paradossale. Gesù infatti ha dichiarato più volte coi fatti e colle parole di partecipare del mistero divino: o è l’incarnazione della divinità oppure si tratta di un falso messia fanfarone. Tertium non datur.
Credere in Dio è naturale e non richiede studi di teologia. Anzi è certa (a)teologia odierna a far dubitare di lui. Credere nell’esistenza di Gesù come uomo è conforme alla storia e al buon senso, e non serve essere grandi storici né leggere il greco o l’ebraico, come non abbiamo motivo di dubitare di Alessandro Magno o di Giulio Cesare.
Se Dio esiste, poiché l’universo richiede un creatore intelligente per funzionare in modo intelligente (e non casuale), e Gesù è un uomo storico che si è proclamato di origine divina, ecco che non c’è più libertà di dubitare. Ma dovere morale di aderire.
“Il suo sguardo è incessantemente rivolto al mondo sovrannaturale, e tuttavia non sfugge al suo occhio la più piccola cosa di questa terra, e si rallegra dei fiori dei campi. Gesù era una personalità straordinariamente dotata, potente, posata, di rara attrazione. Non c’è il minimo dubbio riguardo alla sua perfetta armonia, alla sua sana ragione umana, alla sua penetrante intelligenza, alla sua profonda pietà. E tuttavia ci sono nella sua vita azioni e parole che sembrano confinare con la follia e la bestemmia contro Dio e lo renderebbero un enigma insolubile, se Egli fosse soltanto un uomo” (Haag).
Gesù ha detto che Mosè vide il suo giorno e se ne è rallegrato. Ha dichiarato di dover compiere le opere del Padre suo. Ha proclamato che Egli stesso giudicherà gli uomini. Ha quindi ribadito di essere Re (pur senza eserciti o governi). Ma allora?
Allora tutto questo sarebbe follia e insensataggine se Lui non fosse – come è – la Seconda Persona della Santissima e indivisa Trinità.
Lui, nell’umiltà inarrivabile di cui solo Dio è capace, è nato povero, piccolo, gracile e disprezzato. E’ nato come un mortale, pur essendo divino. Aveva creato l’universo ed esisteva da tutta l’eternità, ma si è messo a parlare con i peccatori e le peccatrici che incontrava per la via.
Come ci fa cantare sant’Alfonso dal Settecento ad oggi: Tu scendi dalle stelle o Re del cielo!
Era eternamente Re, e aveva fatto e concepito le stelle una ad una. Eppure, nasce tra fieno, pastori e animali. Chi è piccolo per natura difficilmente può abbassarsi ancora di più. Ma chi è Onnipotente e Infinito per natura, può abbassarsi al massimo possibile: dall’infinito alla finitezza, dalla Vita eterna alla dimensione temporale e contingente, dallo Spirito Assoluto alla corporeità finita e limitante di un bimbo innocente.
Lui per dimostrare ciò che era e per aprire gli occhi del popolo ha fatto miracoli strepitosi, guarigioni, profezie, sospensioni delle leggi della fisica (come quando camminò sulle acque) che Lui stesso aveva pensato per il nostro bene.
La sua intera vita è un miracolo di incalcolabile portata. La sua esistenza storica narrata dai 4 Vangeli è un prodigio in sé stesso. Come si può immaginare una vita più bella di quella del Salvatore dell’umanità? Un metodo didattico migliore del suo? Uno stile inconfondibile di parola e di silenzi, di azioni e di passioni, come quello che lui ci ha rappresentato nei 33 anni di storia che hanno magnificato la Storia umana generale?
Lui a distanza di due millenni resta il Modello, il Farmaco, lo Psicologo degli uomini e dei peccatori. Ci chiede molto, perché amare significa desiderio di essere riamati. Ma ci dà molto più di ciò che ci chiede. Ci attende una vita intera dietro l’angolo delle nostre giornate, e sarebbe pronto a re-incarnarsi di nuovo per salvare l’ultima insignificante pecora nera del suo gregge.
Ci ha lasciato la Chiesa, il Vangelo, i sacramenti e l’esempio di una vita piena e perfettissima. Che ci manca per sforzarci nella sua sequela? Ci manca solo l’umiltà e la santa caparbietà di andare controcorrente in un mondo che ha bandito Cristo e rimesso in auge i falsi profeti del nulla.
Seguirlo, amarlo e morire per lui vale la pena. Poiché “tanta è la gioia che m’aspetto ch’ogni pena m’è diletto” (s. Francesco).
Antonio Fiori