I santi non sono santini, ma uomini e donne dal cuore grande, anzi grandissimo. Come una bomba piena d’amore, quella di una giovanissima scrittrice al suo libro d’esordio che ci fa venire una voglia matta di diventare santi.
Ha diciotto anni e una penna magnifica. Questa giovane talentuosa ci ha appena regalato un libro dal titolo vibrante, che esprime appieno tutta la meravigliosa sfrontatezza della gioventù: I santi hanno un cuore selvaggio. Zibaldino spirituale di una 18enne (Berica Editrice).
Non scherzo né esagero se dico che questo è un libro esplosivo. Roba che scotta. Normalmente bisognerebbe dire che è da maneggiare con cura, usando cautela. Ma in questo caso il consiglio da darsi è esattamente l’opposto: cioè di abbracciarlo, di stringerlo forte al cuore. Anche se vi potrà esplodere tra le mani, o meglio anche se vi potrà far esplodere il cuore. Anzi, proprio per quello.
Rosa di nome e Evangelista di cognome. Diciamo che la ragazza parte già avvantaggiata. Ma il vantaggio iniziale è più che confermato dall’esito finale perché, vi avviso fin da ora, qui bisogna allacciare le cinture. Sì, perché Rosa sprinta subito a mille e sfreccia a razzo zigzagando in un pazzo mondo a mezza strada tra i castelli interiori di santa Teresa d’Avila e la Wonderland di Alice. C’è da perderci la testa tra paperelle a zonzo per i mille mari, ipervitaminici (nonché cattolicissimi) college americani, marce per la vita super strong con vista sulla Padre Pio Generation. E poi il Teorema Teresa e misteri squisitamente femminili (su cui non mi soffermo per ovvie ragioni) tipo l’enigma dell’eyeliner.
Ma i veri protagonisti sono loro: i santi, mi raccomando, non i santini. Sono loro a popolare il mondo di Rosa: Chiara Luca Badano, Pier Giorgio Frassati, Giuseppe da Copertino (patrono degli studenti), Chiara d’Assisi (che scappò di casa a diciotto anni per seguire gli appelli divini), tutte le sante di nome Teresa e tanti altri. E infine lei, la più trasgressiva di tutti: Maria di Nazareth. Tutti giovani – vi prego di notare – dal cuore ardente, follemente innamorati di Cristo, rapiti dal mistero di Dio.
Perché a diciotto anni no, non ci si può mai accontentare del piccolo cabotaggio, non si può navigare a vista. È l’età del rischio, dello slancio e del vigore, non della prudenza e del calcolo.
Il santo non è il tipo del perfettino, del perbenista, del precisino pulitino, bellino e lindo. Rosa, col suo stile spumeggiante, lo ripete una infinità di volte, e c’è da crederle: «Com’è diverso un santo da un bravo ragazzo. È diverso un abisso». E ancora: «Essere santi non è roba da perfezionisti, anzi! I santi sono come quelli che vanno dalla sarta con quattro stracci, e mentre il mondo li assembla e crea un costume da Arlecchino, con quel poco Dio ti fabbrica un vestito da sera strepitoso (magari anche con lo spacco)». «Per me i santi sono l’hot topic che dovrebbe essere sulla bocca di tutti. Loro ci mostrano quanto spaziale – irripetibile – felice – bella – grande – piena, possa essere la nostra vita. Perché, in fondo, come dice sempre mia sorella, la nostra patria è la pienezza della vita».
I santi sono navigatori di mari tempestosi, scalatori di cime maestose, avventurieri dell’Eterno, pellegrini dell’Assoluto, fidanzati dell’impossibile. Tutto quello che volete, ma non ragionieri della virtù, impegnati a contabilizzare buone e cattive azioni come se fossero profitti e perdite.
I miei venticinque follower – lo so, esagero – ormai lo sanno: sono Barron-addicted. È dal grande vescovo americano che ho sentito una delle più belle definizioni dell’evangelizzazione: un affamato che indica a un altro affamato dove trovare pane, un assetato che indica a un altro assetato dove trovare acqua.
Il senso è chiaro: solo chi ha fame e sete di Dio può evangelizzare. Non i sazi, non i sodisfatti. E per fame e sete no, non intendo il languorino di stomaco, ma una fame e una sete brucianti, di quelle che non ti lasciano respiro.
Ecco, questo ci vuol dire Rosa con tutta la freschezza e la baldanza dei suoi diciotto anni. Lei ha fame, lei ha sete. Deve averle sempre avute, anche quando anni fa implorava: «Dio, se ci sei, prendimi per i capelli».
Ma diciamolo: in fondo di che parla questo libro? Parla del desiderio di gloria, parla di magnanimità. Certo, la gloria che cerca non è quella effimera (letteralmente: ciò che dura “per un giorno”), ma la gloria di Dio.
Spesso i cattolici dimenticano – ce lo ha ricordato un bellissimo libro di Fabrice Hadjadj – che la ricerca della gloria non contrasta affatto con l’umiltà, anzi. Ne parla san Tommaso d’Aquino. Per lui la magnanima per eccellenza (da magna anima, appunto) è la Vergine Maria che intona il Magnificat.
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Magnanimo è chi aspira a cose grandi, la magnanimità è quella virtù che ci dà la forza e il coraggio necessari per spingerci verso ciò che è degno di onore e eccellenza. E chi lo è più di Dio? Il magnanimo sa essere capace delle più grandi imprese, ma sa altrettanto bene di dovere tutto a Dio. Ecco perché il magnanimo è al tempo stesso un umile. La grandezza d’animo appartiene ai cuori grandi, traboccanti d’amore. Come quelli dei santi: cuori sempre giovani, mai avvizziti, neanche quando risultano vecchi all’anagrafe.
«Signore, salvami dal colore grigio dell’uomo adulto e fa’ che tutto il popolo sia liberato da questa senilità dello spirito» chiedeva padre Turoldo. Questa senilità dello spirito, questo avvizzimento dell’anima ha un nome ben preciso: avarizia. Non a caso, il vizio che si oppone alla magnanimità. Tentazione senile per eccellenza, l’avarizia: vizio di chi, sentendo venire meno le proprie forze, si rifugia nei suoi averi diventando calcolatore, gretto, ristretto di spirito. E perciò moltiplica le prudenze, minimizza i rischi, evita ogni pericolo.
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Ecco, in questo libro non troverete nulla di tutto ciò. Più che lucidità, troverete limpidezza, Non troverete grigiore ma pensieri luminosi, schegge lucenti che vanno dritte al cuore e spaccano, eccome se spaccano. Troverete, disseminati ovunque, pensieri come questi: «Io voglio voglio voglio. Bramo. Desidero. Voglio cose grandi. Grandiose». «Non c’è vera dissetante e meravigliosa libertà senza uno sguardo liberante forte». «L’amore è un atto di disobbedienza estrema». «Come fai a diciott’anni a non voler vivere da eroe? Viva i santi che vanno a vivere nei boschi senza riscaldamento e piumoncino. Intercedete per non farci diventare catechisti col cardigan».
Rosa non teme di confrontarsi anche coi temi più spinosi della sua età: la castità, la purezza, il sesso, l’aborto. Per scoprire, anche in questo caso, che per essere puri bisogna portare un fuoco dentro (non per nulla il greco pŷr, da cui «puro», significa fuoco) che la Katniss di Hunger Games se lo sogna! Più che ardori da spegnere, allora, forse ci sono fiamme da alimentare… La strada della santità è una via cosparsa di incendi, accessibile solo a prodi e ardimentosi.
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In conclusione, chiedere a Dio di venire a prenderci per i capelli vale per tutti, a ogni età, e che importa se non ci sono più capelli da pigliare! Non perdetevi questo tonico dello spirito: si respira aria di libertà, quella vera, e fa bene al cuore. E ringraziate anche quel genio del mio amico Giuseppe Signorin, curatore della collana, scrittore e talent scout d’eccezione.
Che Dio ci doni il cuore selvaggio dei santi!
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