Proprio nella giornata in cui si celebra la salvaguardia dell’ambiente, notizie terribili di inquinamento ci dimostrano la brutale irresponsabilità umana nella custodia del Creato.
Nella regione artica, infatti, è arrivata la notizia di un terribile disastro ambientale risalente alla alla mattina del 29 maggio. Anche se, purtroppo, inizialmente tenuto nascosto dai responsabili.
Lo ha affermato responsabile dell’organo federale per la tutela dell’ambiente, Svetlana Radionova. La notizia infatti in un momento estremamente delicato per la vita politica russa e in particolare del presidente Vladimir Putin, alle prese con l’epidemia del coronavirus, la quarantena e la crisi economica, e ora anche con questo evento particolarmente nefasto.
Mettendo così a rischio la sua popolarità, a poca distanza dal referendum costituzionale del prossimo sull’eliminazione del limite di due mandati.
Un voto molto importante, che in caso di successo permetterebbe al presidente russo di restare in carica addirittura fino al 2036.
La vicenda in questione, riportata dalla Radionova, consisterebbe in una perdita di quindicimila tonnellate di combustibile diesel e lubrificanti, che sarebbero fuoriusciti da una cisterna riversandosi nei vicini corsi d’acqua, lasciando che seimila di queste venissero assorbite dal terreno. Per un totale di ventimila tonnellate.
Il fatto è accaduto per via di un calo di pressione nella centrale termo-elettrica TEZ-3 presso Norilsk, 300 km oltre il Circolo polare. Gli operatori hanno tentato di contenere il danno attraverso delle dighe galleggianti, che però sono servite a ben poco.
Infatti, gigantesche chiazze rosse e viola, spesse 20 cm, come riporta il Sole 24 ore, attualmente si starebbero dirigendo verso il Mar di Kara, partendo dai corso d’acqua minori e passando per il fiume Ambarnaja. I fatti sono documenti con delle fotografie pubblicate sui social network dai residenti dell’area, e altre scattate dal satellite.
Tutto questo mette fortemente a rischio la rete dei fiumi della Siberia. Ma la preoccupazione più grande è che possa essere stato il permafrost, già a rischio di scioglimento per via del riscaldamento climatico che influisce anche sugli equilibri della Siberia più che in altre regioni del mondo. E questo potrebbe essere all’origine dell’incidente.
Le fondamenta dell’intero impianto della diga avrebbero ceduto. Quei pilastri finora sono stati sostenuti dalla terra gelata. Ed erano riusciti a resistere per interi decenni senza mai riportare problemi. Così affermano i proprietari. La vera preoccupazione, a questo punto, è che la stessa dinamica potrebbe ripetersi in tanti altri luoghi.
Il regime staliniano aveva fondato la struttura negli anni trenta, con l’obiettivo di sfruttare quegli enormi giacimenti grazie al lavoro di esuli e prigioneri dei gulag. Attualmente, il colosso minerario Norilsk Nickel, primo produttore al mondo di nickel e palladio, sta lavorando per tentare di contenere i danni dell’incidente.
Nel frattempo Putin ha dichiarato lo stato d’emergenza. Ma la cosa più grave è che i stessi proprietari dell’impianto avrebbero cercato in tutti i modi di nascondere quanto stava succedendo. L’azienda si chiama NTEK, ed è una sussidiaria di Norilsk Nickel, della compagnia energetica Norilsk-Taymyr.
“Perché le agenzie governative lo hanno scoperto solo due giorni dopo? Dobbiamo venire informati delle emergenze dai social media? È sicuro di stare bene?”, avrebbe affermato, infuriato, il presidente Putin durante una videoconferenza con il responsabile di NTEK, Serghej Lipin. Ora si attende di capire di chi sono in concreto le responsabilità.
Ma al netto di tutto ciò, si tratta di un’altra terribile tragedia che dimostra la drammatica noncuranza dell’uomo nei confronti del Creato, che è stato lui affidato dal Signore per coltivarlo e custodirlo, mentre invece troppo spesso assistiamo ad atti di saccheggiamento e devastazione.
Giovanni Bernardi
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