In questi ultimi mesi, dopo la sentenza della Corte di Cassazione del maggio 2017, le sentenze di divorzio andavano tutte verso un’unica direzione: l’abolizione di un assegno di separazione che garantisse il medesimo stile di vita tenuto nel corso degli anni di matrimonio. Questo perché in alcuni casi la somma dovuta alla moglie era troppo onerosa da sostenere per i mariti e quindi ritenuta iniqua. L’ultima sentenza del Tribunale di Genova a riguardo, però, riscrive le tendenze giuridiche andando contro corrente ed instillando il dubbio (corretto) che nei processi di divorzio bisogna giudicare caso per caso.
Divorzio, il caso di Genova: la privazione della carriera
Il caso in specie riguarda la richiesta di Luca Bettonte, numero uno della Erg, e dell’ex moglie Patrizia Barbato. Il dirigente della compagnia petrolifera, forse convinto che il recente trend giudiziale potesse favorirlo, ha cercato di sospendere (o comunque ridurre) il cospicuo risarcimento mensile alla moglie, sostenendo che il patrimonio immobiliare della donna e l’assegno di mantenimento versato al figlio permettessero alla donna di vivere in maniera autosufficiente. La Barbato da parte sua anteponeva l’effetto generato da anni di sacrifici casalinghi in favore della carriera del marito, ovvero la perdita della possibilità di reintrodursi nel mondo del lavoro.
Esaminando il caso i giudici sono giunti alla conclusione che gli anni di assenza dal mondo del lavoro per la donna sono stati dannosi per la sua carriera (Patrizia Barbato faceva l’igienista dentale) e che in questo momento non sarebbe possibile per lei riprendere a lavorare, pertanto la richiesta di Bettonte è stata rigettata. I giudici hanno emesso la sentenza premettendo che la Barbato: “Ha contribuito al successo del marito, lasciando degradare la propria professionalità per dedicarsi alla famiglia e alla casa quando il coniuge faceva carriera”. Tale condizione di degrado della propria professionalità ha fatto si che la donna non fosse più in grado di esercitare la propria professione, quindi concludono i giudici: “Proprio perché non ha più alcuna possibilità di riposizionarsi sul mercato del lavoro, il surplus accantonato potrebbe servire per imprevisti futuri, in primis i problemi di salute. E quindi l’assegno deve rimanere in linea con il tenore di vita antecedente il divorzio”.
Luca Scapatello