Il clamore suscitato dalle dichiarazioni di Domenico Dolce e Stefano Gabbana sembra creato per confondere la semplicità e la limpidezza di un messaggio che avrebbe meritato risposte migliori. Gli stilisti, omosessuali dichiarati, qualche giorno fa hanno parlato di famiglia. E’ stata un riflessione semplice, di buon senso, dove il ricordo e l’amore per le proprie radici ha accompagnato parole limpide, libere e senza secondi fini se non quello di condividere una riflessione. «Non abbiamo inventato noi la famiglia – hanno detto Domenico Dolce e Stefano Gabbana – l’ha resa icona la Sacra Famiglia e non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. Vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore. Oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni». Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno detto una verità, la verità: pensieri che sapevano di esporsi alla lapidazione nel momento stesso in cui non rimanevano relegati nella riflessione privata ma avessero osato superare il confine della prudenza ed esprimersi. Perché a tanto siamo arrivati: il timore di parlare, l’essere costretti a trattare l’evidenza come fosse un’opinione e una riflessione sull’evidenza come fosse una debolezza. Domenico Dolce e Stefano Gabbana, accusati di essere “arcaici”, hanno parlato di qualcosa che viene prima ancora della famiglia. Hanno parlato del limite, di quel senso di misura che è la prospettiva che illumina le relazioni fra l’uomo e le cose, fra lui e Lui, tra creatura e Creatore. Proporzioni, struttura, pensiero, cuore e vista per comprendere tutto questo. Domenico Dolce e Stefano Gabbana non hanno perso lo sguardo, perché nonostante tutto hanno mantenuto la misura delle cose, nella loro imperfezione di uomini, partecipi e anche loro sorretti dal mistero che accompagna ogni essere umano. Domenico Dolce ha detto: «Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia». Parole di una libertà e di una semplicità sorprendenti. E’ il lascito di una rinuncia, una resa che restituisce la consolazione infinita che viene dall’accettazione delle propria.
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