Amare Gesù non significa limitarsi ad “ammirarlo”. Lo ha ricordato papa Francesco durante l’omelia per la Domenica delle Palme.
La liturgia odierna, ha detto Bergoglio, trasmette in primo luogo “stupore”. Si passa, infatti, direttamente dalla “gioia” della folla all’ingresso di Gesù a Gerusalemme “al dolore di vederlo condannato a morte e crocifisso”.
È sorprendente anche vedere Gesù accolto con tanta solennità, mentre è in sella a “un umile puledro”. “La sua gente attende per Pasqua il liberatore potente, ma Gesù viene per compiere la Pasqua con il suo sacrificio – ha osservato il Santo Padre –. La sua gente si aspetta di celebrare la vittoria sui romani con la spada, ma Gesù viene a celebrare la vittoria di Dio con la croce”.
Gli stessi che lo osannano, pochi giorni dopo gli grideranno “crocifiggilo”. Costoro “ammiravano Gesù” ma non si lasciavano “stupire da Lui”. Lo stupore, del resto, “è diverso dall’ammirazione”: quest’ultima, ha sottolineato il Pontefice, “può essere mondana, perché ricerca i propri gusti e le proprie attese; lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità”.
Ancora oggi, troviamo migliaia e migliaia di persone che ammirano Gesù “ma la loro vita non cambia”, perché non lasciano “mettere in discussione da Lui”. Si limitano a dire: “Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia...”.
Se invece vogliamo lasciarci stupire da Gesù, non ci sfuggirà il fatto che Lui giunga “alla gloria per la via dell’umiliazione”, accogliendo “il dolore e la morte, che noi, succubi dell’ammirazione e del successo, eviteremmo”.
Stupisce, allora “vedere l’Onnipotente ridotto a niente. Vedere Lui, la Parola che sa tutto, ammaestrarci in silenzio sulla cattedra della croce. Vedere il re dei re che ha per trono un patibolo. Vedere il Dio dell’universo spoglio di tutto. Vederlo coronato di spine anziché di gloria. Vedere Lui, la bontà in persona, che viene insultato e calpestato. Perché tutta questa umiliazione? Perché, Signore, ti sei lasciato fare tutto questo?”.
Sulla croce, Gesù sperimenta “i nostri stati d’animo peggiori” e “le nostre contraddizioni più laceranti”. Gesù “redime” e “trasforma” queste nostre fragilità, cosicché “nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola”. “La palma della vittoria passa per il legno della croce”, ha aggiunto il Papa.
Dobbiamo quindi chiedere “la grazia dello stupore”, perché “se la fede perde lo stupore diventa sorda”. Il Santo Padre ha portato ad esempio “lo stupore di San Francesco d’Assisi”, il quale, “guardando il Crocifisso, si meravigliava che i suoi frati non piangessero”. Se non riusciamo più a “stupirci davanti a Lui”, è forse perché “non siamo aperti al dono dello Spirito”.
È lo stupore che ci fa dire: “Signore, quanto mi ami! Quanto sono prezioso per Te!”. “La grandezza della vita – ha proseguito Francesco – non sta nell’avere e nell’affermarsi, ma nello scoprirsi amati”. Vedendo Cristo crocefisso e “ridotto a uno scarto”, “capiamo che accogliendo chi è scartato, avvicinando chi è umiliato dalla vita, amiamo Gesù: perché Lui è lì, negli ultimi, nei rifiutati”.
Lo stupore è ciò che si riscontra nel centurione che esclama: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”» (Mc 15,39). Quest’ultima frase “suggella la Passione”.
Al termine dell’omelia, il Papa ha espresso l’auspicio che “questo stupore ci pervada”. Guardando il Crocifisso, allora, potremo dire anche noi: “Tu sei davvero il Figlio di Dio. Tu sei il mio Dio”.
Luca Marcolivio
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