L’intervista a cura di Antonio Sanfrancesco
Cos’è l’arte di guarire? «Uno stato, un assetto, non un’ occasione passeggera. Se io prego ogni giorno il Signore di salvarmi e di liberarmi dal male cosa significa? Che sono risolto o da risolvere?».
Di che cosa siamo malati?
«Di incompletezza. Quella dell’ uomo è una felice malattia, come dice il Preconio: “O felice colpa che meritasti un così grande Salvatore”. La vera malattia è rifiutare la malattia, la piccolezza, la creaturalità. Più noi combattiamo contro il fatto di essere fragili e più lo diventiamo. Quando accettiamo di avere un Salvatore e di avere fiducia nel Padre celeste diventiamo forti in Dio. La nostra forza non è nostra ma di un Altro. Ecco perché l’ arte della relazione è fondamentale. Noi tendiamo a costruire gabbie di autoaffermazione che diventano le nostre torture, se c’ è un tiranno che ci rende infelice è il nostro ego che ci trafigge con le sue pretese».
Insomma, quando possiamo dirci sani?
«La vera salute è la consapevolezza della malattia. Siamo prometeici, vogliamo strappare il fuoco a Dio e non capiamo che se glielo chiediamo Lui ce lo regala. Spesso neanche lo sappiamo perché siamo stati informati male su di Lui».
I sacerdoti hanno una grande responsabilità
Colpa anche di voi preti.
«Infatti, bisognerebbe controllare se il nostro modo di parlare di Gesù muove la gente a toccarlo o la fa fuggire a gambe levate».
Perché la guarigione della donna emorroissa, che tocca il lembo del mantello di Gesù, è così simbolica?
«Nella storia dell’arte questo episodio è raffigurato spesso a cominciare dalle catacombe dei Santi Marcellino e Pietro di Roma. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo pone in copertina nella sezione dedicata ai Sacramenti».
Eppure nel Vangelo viene dedicato poco spazio a questo episodio.
«La considerazione finale di Gesù è molto strana e anche piuttosto rara: “Figlia, va’ in pace e sii guarita dal tuo male”. È come se Gesù negasse il miracolo che ha appena compiuto. In realtà, la guarigione totale c’ è ma quello che non ci può essere è l’ oblio del male. Chi ha preso una brutta malattia sa che le ricadute sono più devastanti della malattia stessa. Gesù dice di stare attenti alle ricadute. Se ricaschiamo nel Covid-19, ad esempio, è un disastro».
Don Fabio Rosini: l’equilibrio psicologico non è l’assenza di problemi
La guarigione è un lungo processo?
«Sì, il vero tema della vita spirituale è la custodia del cuore e della vita interiore. L’ equilibrio psicologico non è l’ assenza di problemi ma uno stato di consapevolezza dei propri problemi, riconoscersi stolti, ingannati. Per andare avanti bisogna fare i conti con la propria povertà. È una spiritualità umile, per nulla trionfalistica».
A differenza di altri personaggi dei vangeli, l’emorroissa non parla, non chiede a Gesù di essere guarita. Perché?
«Gli altri gridano, come il cieco. Lei pensa. Si costruisce piano piano e poi parla perché Gesù la costringe a farlo e vuole che chiami per nome il suo male, passando dal pensiero alla parola. Avendo a che fare con tanti giovani fragili e deboli ai quali cerco di insegnare come vivere la propria sessualità e intimità, questa genitalità sanguinante della donna è un paradigma preziosissimo perché qui c’ è tutta la vergogna, l’ incapacità di chiedere. Ma per Gesù il sangue è prezioso. Oggi invece, pensiamo ai film horror o a certi videogiochi, nell’immaginario collettivo il sangue dell’ uomo non conta nulla».
Don Fabio Rosini: siamo infelici perché crediamo alla cattiva notizia su noi stessi
Perché?
«Quello che ci frena tutti è il disprezzo di sé, la cattiva notizia su noi stessi alla quale abbiamo creduto e che ci fa essere infelici e incapaci di godere delle bellezza della vita. Bisogna dire all’ uomo quello che ha detto su di lui la Croce di Cristo: che per amare l’ uomo vale la pena di morire. A livello esistenziale c’è un atto di apertura alla propria bellezza che è sempre un work in progress, non finisce mai».
Che insegnamento possiamo trarre da questa terribile malattia collettiva che è la pandemia?
«Ci siamo ritrovati dentro logiche inaspettate ed è l’ occasione per fare verità su noi stessi e sulle nostre relazioni con gli altri, chiederci che cosa conta veramente, qual è la priorità. Nella storia le epidemie sono state sempre un momento di crescita per l’ umanità».
È ottimista per il dopo?
«Né ottimista, né pessimista. La libertà personale è un enigma. Una cosa è certa: rispetto ad altre occasione, stavolta siamo stati toccati personalmente più del solito ma potremmo non sfruttare, o sfruttare male, anche questa lezione».
Fonte: https://m.famigliacristiana.it
Simona Amabene
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