Il compito di un parroco è quello di guidare i fedeli verso un percorso di auto perfezionamento che gli permetta di vivere secondo gli insegnamenti di Dio. Per fare questo devono essere dei buoni ascoltatori, sapere consigliare la cosa giusta da fare quando uno dei fedeli sbanda, ma soprattutto devono avere la forza di cercare uno spiraglio di luce in quelle persone che sembrano aver abbandonato il cammino verso il paradiso, la cui anima è talmente nera che sembra irrecuperabile agli occhi di chiunque.
In Italia viviamo da anni con la consapevolezza che esiste un sistema para statale di tipo criminale che affligge la nostra terra. Che si chiami mafia, ‘ndrangheta, camorra o sacra corona unita il risultato non cambia, gli uomini che ne fanno parte si rendono o si sono resi colpevoli di qualche atrocità contro il genere umano. Sebbene la mafia, quella originale, sembra aver perso il controllo di un tempo, fino agli anni novanta ‘Cosa Nostra’ è stata il principale antagonista dello Stato come dimostrano gli assassini dei giudici Falcone e Borsellino.
Proprio perché di quella organizzazione a delinquere si conoscono nomi e misfatti, ‘Cosa Nostra’ è e sarà sempre nell’immaginario collettivo l’emblema di una criminalità spietata, soffocante e dominante. Il terrorismo condotto da quegli uomini non può e non dev’essere dimenticato, questo è ovvio, ma un sacerdote deve andare oltre alla sete di giustizia e provare a capire se in quegli uomini esiste anche uno spiraglio che conduca alla salvezza della loro anima.
Questo è quello che ha cercato di capire Don Maurizio Patriciello andando a parlare con Santino Di Matteo, l’uomo che ha portato l’esplosivo che ha causato la morte di Falcone, lo stesso uomo che ha perso il figlio Giuseppe (quando aveva appena 13 anni) per una rappresaglia tra clan. Pentito per quanto fatto, si è costituito alla polizia ed ora cerca espiazione attraverso un cammino di conversione lungo e tortuoso cominciato anni fa. Il sacerdote gli chiede com’è cominciato questo cammino e lui risponde: “Ho incontrato un prete, un fratello, un amico, un padre”.
Santino ha visto in questo sacerdote un padre, una guida, qualcuno in grado di fargli vedere un futuro. Inutile dire che questo percorso di fede poco interessa ai familiari delle vittime e questa e la seconda cosa che Don Patriciello gli fa notare: “Santino, noi italiani siamo terribilmente arrabbiati con la mafia e anche con te. Avete rovinato la vita a migliaia di persone, avete versato tanto sangue, avete spento le speranze di tanta gente. Non tutti oggi sono disposti a dimenticare, perdonare”, quindi gli chiede se se la sente di chiedere il perdono.
A questa domanda il pentito risponde così: “Si, certo. L’ho già l’ho fatto diverse volte. Nella vita ho sbagliato tutto, chiedo perdono a tutti. Purtroppo si vive una vita sola, se potessi tornare indietro non rifarei mai le cose orribili che ho potuto fare”. Don Patriciello ritiene che il pentimento di Di Matteo sia sincero e che, anche se per l’assoluzione ci vorrà tutta una vita, bisogna provare ad incoraggiarlo e condividere il suo tentativo di redimersi.
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