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Don Maurizio Patriciello: la pandemia ci chiama a leggere i segni dei tempi

Parla uno dei più popolari e amati preti di frontiera italiani, arriva una nuova testimonianza profonda e “scomoda”.

Foto: Padre Pio TV – YouTube

Parole cariche di amarezza e, al contempo, di speranza che vanno al cuore degli aspetti più disumanizzanti di questa pandemia.

“Alla messa non posso rinunciare”

Ancora una volta, don Maurizio Patriciello, cogliendo i segni dei tempi, si è fatto “segno di contraddizione”. L’idea di un nuovo lockdown ecclesiale nemmeno lo sfiora. “Non mi potevo permettere il lusso di cedere: debbo celebrare la messa, dare speranza”, ha dichiarato il parroco di Caivano, in un’intervista rilasciata al SIR. Va dritto al sodo, don Maurizio: “Sono parroco in un quartiere molto povero che ha risentito pesantemente della pandemia a livello economico.

Per un sacerdote, ha detto, “è triste anche non poter andare a casa degli ammalati, né poter benedire i morti in casa, per evitare assembramenti”. Senza negare “il timore del virus” che serpeggia tra la gente, don Patriciello guarda soprattutto ai risvolti sacramentali della pandemia.

Ho avuto una coppia – ha raccontato – che ha rifatto le carte per il matrimonio per la terza volta: ho suggerito loro di sposarsi lo stesso, anche senza invitati, ma fa una tristezza immensa, avevano sognato questo loro matrimonio da anni. Per tanti poveri il matrimonio rimane, infatti, l’unico momento di festa, di aggregazione familiare”.

Anche dover benedire le salme “direttamente al cimitero”, ha commentato Patriciello, è una “cosa molto triste”. Altrettanto triste è stato per lui non poter far entrare certe bare in chiesa, perché erano di “morti di Covid”.

I ragazzi che si ribellano al lockdown e si assembrano “li capisco”, dice, ma “rappresentano un pericolo per se stessi e per gli altri”. E intanto, constata, “l’età dei pazienti si è abbassata terribilmente, diversamente a quanto accaduto un anno fa quando il virus colpiva soprattutto i più anziani.

“Stavolta le chiese rimangano aperte”

Seppure le celebrazioni della Settimana Santa – Domenica delle Palme e Lavanda dei Piedi in primis – “difficilmente si potranno fare”, l’auspicio di don Patriciello è che “si lascino le chiese aperte e ci permettano di celebrare con il popolo”. Pur avendo, un anno fa, obbedito senza esitazioni al divieto di celebrazioni di messa con il popolo, il parroco di Caivano ricorda quei giorni con amarezza: “Mentre stavo con il cero in mano e venivo ripreso dal telefonino per far partecipare almeno attraverso la diretta on line alla celebrazione, mi venne una tristezza immensa.

Le messe online celebrate da Patriciello sono state “seguite da migliaia di persone e i commenti arrivavano da tutta l’Italia. Di questo ho ringraziato il Signore, anche se celebrare davanti a un telefonino era deprimente. Adesso celebrare con il popolo è una gioia grande”. Si sente, però, oggi, “la mancanza dei bambini”, dice il parroco di Caivano, osservando che “forse sarebbe stato prudente pensare ai sacerdoti come una categoria da vaccinare presto proprio perché ci avviciniamo a tanta gente”.

Nell’emergenza sociale connessa all’emergenza sanitaria, la parrocchia di Caivano è attivissima nel distribuire viveri ai più colpiti dalla crisi. E qui don Patriciello confessa: “Il giorno del ritiro dei pacchi la scena che si presenta è talmente triste che chiedo a qualche mio collaboratore di essere presente al mio posto perché io non ce la faccio ad assistere”.

Le situazioni estreme sono molteplici: “C’è ad esempio un senzatetto che dorme su un divano all’aperto fuori dalla parrocchia e non vuole essere ricoverato in Caritas, ma io non riesco a dormire al suo pensiero che resta all’aperto con il freddo. Molte scene sono “patetiche” ma “laddove il Signore ci vuole noi dobbiamo stare – afferma don Patriciello –. I problemi erano già tanti ma dire che la pandemia li ha moltiplicati è riduttivo.

Togliamoci quella “maschera di Pulcinella!”

La pandemia, prosegue il sacerdote partenopeo, non è una cosa mandata da Dio, tuttavia, “siamo chiamati a leggere i segni dei tempi, adeguarci a quello che ci propone la giornata”. Al Signore, don Patriciello chiede spesso una grazia: quella di “essere strabico cioè di avere un occhio che guarda la realtà locale – il mio paese, la mia parrocchia, la mia famiglia, la mia gente, la mia regione, la mia Italia – e un altro occhio che guarda la realtà generale, la politica a livello mondiale”.

La pandemia ci ha insegnato qualcosa d’importante: Gesù nel Vangelo ci dice di guardare ai fiori dei campi e agli uccelli nei cieli, noi invece ci siamo aggrappati all’immediato, alla paura del futuro”. Al tempo stesso, però, aggiunge il sacerdote, “la pandemia ci ha insegnato a stare più a casa, a cogliere la bellezza delle persone con cui la condividiamo, a leggere un buon libro” e a rivalutare la “preghiera non comunitaria” ma “personale”.

Prego il Signore di toglierci queste ‘maschere di Pulcinella’ dalla faccia e di farci tornare con il nostro volto solo se riusciamo a essere migliori”, ha quindi concluso don Patriciello.

Luca Marcolivio

 

 

Luca Marcolivo

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Luca Marcolivo

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