“Per amore del mio popolo, non tacerò”. Era questo il documento che don Giuseppe Diana aveva scritto e diffuso, per affermare che la Camorra e la Chiesa non potevano viaggiare a braccetto.
Don Giuseppe (Peppe) Diana (1958-1994, Campania) seppe sottolineare che la devozione dimostrata dai clan malavitosi era solo un modo per toccare la Chiesa, per sporcarla dall’interno.
Il documento venne distribuito nel Natale del 1991, nelle Chiese di Casal di Principe e nelle altre zone della provincia di Caserta. Mostrò l’unione di quei parroci che volevano opporsi fortemente al potere camorristico.
“Siamo preoccupati. Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della Camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come Chiesa dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
Lo scopo non era tanto di opporsi alla Camorra, ma di cambiare la vita di coloro che potevano ancora tirarsene fuori. Lo scopo di don Peppe Diana era la comprensione dell’umana debolezza e la redenzione, la rivalsa per quella terra martoriata da anni di soprusi e lutti senza senso.
“Tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato”.
La Camorra impoverisce; la Camorra strappa i giovani alla società e alle loro famiglie; la Camorra induce terrore e ignoranza, poiché vive e impone le proprie regole. Questo don Peppe Diana lo sapeva bene e, per averlo denunciato, fu ucciso, una mattina, mentre si preparava a celebrare la prima Santa Messa del giorno. Era il suo onomastico: il 19 Marzo del 1994.
La Camorra sostituisce lo Stato, laddove esso non riesce ad agire, a penetrare la rete territoriale, costringendo la gente a sottomettersi alla corruzione, alla violenza.
Per questo, don Peppe Diana tentò di richiamare gli altri preti, la Chiesa campana, ad essere profeti: “Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18); (…) Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa”.
Si capisce bene perché la Camorra decise di trucidarlo: per farlo tacere, per annientare la speranza del suo popolo sul nascere.
Noi tutti, però, abbiamo il dovere di ricordare le sue parole; siamo chiamati a fare in modo che la sua morte non sia vana, per coloro che debbono trovare il coraggio di opporsi ad una cultura del male.
Dal 2003 in poi, a Casal di Principe, si è avviato il Comitato don Peppe Diana, proprio per questo scopo; per ricordare l’amore di un sacerdote per la sua terra, per la sua gente; per dire, forte e chiaro, che, i cinque proiettili che alle ore 07:20 di quel 19 Marzo colpirono don Peppe Diana alla testa, al volto, alla mano e al collo, non lo hanno davvero fermato.
In quei giorni, Papa Giovanni Paolo II disse, all’Angelus del 20 Marzo: “Sento il bisogno di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa, colpito da spietati assassini, mentre si preparava a celebrare la Santa Messa.
Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote, impegnato nel servizio pastorale alla sua gente. Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace”.
Antonella Sanicanti
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