Ecco l’atteso verdetto per l’uomo che ha ucciso don Roberto Malgesini, un migrante a cui il sacerdote forniva aiuto e ascolto, e che nonostante ciò lo ha ripagato con la peggiore delle monete.
La sentenza era attesa da tempo, in particolare da amici e familiari, e ora si conosce con chiarezza l’entità della pena che l’uomo dovrà scontare.
La condanna è stata pronunciata nel tardo pomeriggio di ieri dalla corte di Assise di Como, ed è tanto diretta quanto chiara. Ridha Mahmoudi, il tunisino 57enne che il 15 settembre 2020 uccise don Roberto Malgesini, è stato condannato all’ergastolo. Il processo che ha portato alla sentenza è durato stavolta poco, appena più di un mese.
La richiesta del pm e l’esito del processo
Il pubblico ministero Massimo Astori aveva chiesto per l’assassino il carcere a vita, fin dalla prima udienza del 22 settembre scorso. L’uomo infatti non ha mai mostrato segni di pentimento, nonostante l’efferatezza del delitto. Anzi, a volte ha rincarato la dose definendo il sacerdote un “peccatore” e rivendicando l’assassinio. Don Roberto venne infatti colpito con decine di fendenti.
Ridha era residente in Italia da trent’anni, è un ex operaio divenuto senza fissa dimora e ha mostrato di avere una personalità complessa e aggressiva. Don Roberto, sacerdote degli ultimi, gli aveva sempre offerto aiuto e vicinanza. A causa del carattere difficile il tunisino, infatti, viveva in uno stato di dura emarginazione.
Dai maltrattamenti alla moglie agli atteggiamenti rabbiosi con gli operatori dei Centri di ascolto Caritas, la storia dell’omicida è costellata di episodi violenti. Don Roberto tutto questo lo sapeva bene, e infatti aveva più volte chiesto con pazienza e carità diverse consulenze per i problemi di salute e di giustizia dell’uomo.
La ricostruzione della tragica vicenda
Il pm ha ricostruito i fatti e tratteggiato la personalità di Mahmoudi in due ore di requisitoria articolata, ed è stato sottolineato più volte che Mahmoudi negli ultimi 14 anni aveva ricevuto sei decreti di espulsione mai attuati.
La difesa invece, da suo canto, ha chiesto l’assoluzione per incapacità di intendere e di volere, chiedendo anche una perizia psichiatrica. Istanza tuttavia rigettata dalla corte che ha giudicato la vicenda con un responso netto, quello di omicidio volontario premeditato. L’assassino aveva infatti acquistato il coltello da cucina con cui compì il delitto già due mesi prima dell’omicidio. Il giorno del tragico fatto, raggiunse il prete, che sapeva avrebbe trovato solo, sul piazzale antistante la casa e la chiesa prima delle 7 del mattino.
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Lì ogni giorno don Roberto caricava infatti l’auto con cibo e bevande calde per portarle ai senzatetto della città. Lo colpì 25 volte in pochi minuti, come ricostruirono anche le telecamere della zona. Poi, si diresse dai Carabinieri ammettendo la sua colpa.