Un uomo forte, giusto e di fede. Alla guida di una importante Diocesi del Sud Italia, si è distinto per il suo carisma e per le sue parole.
28 anni fa, don Tonino Bello tornava alla casa del Padre. Un Vescovo, un sacerdote, un padre, ma prima di tutto un uomo che, con le sue parole, con i suoi gesti ha fatto riflettere non solo la Chiesa, ma il mondo intero.
Era il 20 aprile del 1993 quando il Vescovo Antonio Bello, a tutti conosciuto semplicemente come Don Tonino, saliva al cielo. Un prelato per la Chiesa perché aveva “il titolo”, ma per il suo popolo era molto di più. A lui ci si rivolgeva per ogni cosa e lui, aveva sempre una parola e un gesto di conforto per tutti.
Un pastore di anime che non si è fermato neanche di fronte alla malattia, di fronte alla guerra. Ebbene sì, nonostante fosse già stato operato di tumore allo stomaco, il 7 dicembre 1992 partì insieme a circa cinquecento volontari da Ancona verso la costa dalmata dalla quale iniziò una marcia a piedi che lo avrebbe condotto dentro la città di Sarajevo, da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della guerra civile.
Un sacerdote che non si è mai tirato indietro e che si è rimboccato le maniche per accorrere in aiuto a persone che, al di là della costa pugliese e italiana, combattevano per l’indipendenza del proprio territorio. L’arrivo nella città assediata, tenuta sotto tiro da cecchini serbi, era sicuramente un pericolo per i manifestanti, dove neanche il tempo era clemente: solo temporali e nebbia. Ma nonostante tutto, anche lì Don Tonino guardò alla fede, che non perse mai in nessuna occasione. Era l’8 dicembre del 1992 e quella nebbia lui la definì la “nebbia della Madonna”.
Una vita intensa, caratterizzata dalla preghiera e dalla cura dei giovani. La formazione dei giovani in seminario e la cura dei ragazzi dell’Azione Cattolica. Negli anni ’70, la nomina vicario episcopale per la pastorale diocesana.
Nel 1982, è nominato Vescovo della Diocesi di Molfetta. Il suo ministero è stato caratterizzato dalla rinuncia di “ogni segno e simbolo di potere” e dalla sua attenzione costante verso i poveri e verso gli ultimi. Promosse i gruppi Caritas in ogni parrocchia della sua Diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze. Il suo ufficio era sempre aperto a chiunque volesse parlargli o chiedergli conforto spirituale.
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Non si è mai tirato indietro davanti alla richiesta d’aiuto di qualcuno. Sua la definizione di “Chiesa del grembiule“, ad indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell’emarginazione.
Dopo il viaggio a Sarajevo, il 20 aprile del 1993 sale al cielo. La Congregazione per le Cause dei Santi ne ha avviato il processo di beatificazione.
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ROSALIA GIGLIANO
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