La Quaresima è terminata e con essa il tempo dell’attesa: Gesù risorgerà a momenti. Approfittiamo di questi ultimi istanti di “buio”, per riflettere e non farci trovare sonnolenti, quando arriverà la “luce” di Cristo.
Con don Tonino Bello, cerchiamo di comprendere, oltre il rito, il senso profondo del cammino di conversione, che abbiamo avviato, mentre attendevamo la Santa Pasqua.
“Carissimi, cenere in testa e acqua sui piedi. Una strada, apparentemente, poco meno di due metri, ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Perché si tratta di partire dalla propria testa, per arrivare ai piedi degli altri.
A percorrerla, non bastano i quaranta giorni, che vanno dal Mercoledì delle Ceneri al Giovedì Santo. Occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.
Pentimento e servizio. Sono le due grandi prediche che la Chiesa affida alla cenere e all’acqua, più che alle parole. Non c’è credente che non venga sedotto dal fascino di queste due prediche. Le altre, quelle fatte dai pulpiti, forse si dimenticano subito. Queste, invece, no: perché espresse con i simboli, che parlano un “linguaggio a lunga conservazione”.”.
Quando il Mercoledì delle Ceneri, il nostro sacerdote ci ha posto della cenere sul capo, ci ha ricordato che siamo corruttibili, nel corpo come nello spirito: nel corpo, perché il nostro tempo sulla terra è limitato; nello spirito, perché spesso la nostra devozione vacilla e dobbiamo prendercene cura, ripulirla dal falsi storici e quotidiani.
Don Tonino Bello prosegue: “È difficile, per esempio, sottrarsi all’urto di quella cenere. Benché leggerissima, scende sul capo con la violenza della grandine. E trasforma in un’autentica martellata quel richiamo all’unica cosa che conta: “Convertiti e credi al Vangelo”. Peccato che non tutti conoscono la rubrica del messale, secondo cui le ceneri debbono essere ricavate dai rami d’ulivo benedetti nell’ultima Domenica delle Palme. Se no, le allusioni all’impegno per la pace, all’accoglienza del Cristo, al riconoscimento della sua unica signoria, alla speranza di ingressi definitivi nella Gerusalemme del cielo, diverrebbero itinerari ben più concreti di un cammino di conversione.
Quello “shampoo alla cenere“, comunque, rimane impresso per sempre: ben oltre il tempo in cui, tra i capelli soffici, ti ritrovi detriti terrosi che il mattino seguente, sparsi sul guanciale, fanno pensare per un attimo alle squame già cadute dalle croste del nostro peccato”.
Ed ora che, dall’ultimo nostro Mercoledì delle Ceneri sono passati i 40 giorni di Quaresima e abbiamo, più volte, ripercorso il tragico itinerario che ha portato Gesù, Figlio unigenito di Dio (Dio stesso, fattosi uomo) a morite per noi; ora, che ci è stato svelato che il peccato dell’umanità è grande, tanto da chiedere in ricatto un sacrificio estremo, come quello della Vera Croce, cosa possiamo dedurre dal percorso compiuto?
I nostri digiuni, le astinenze, le nostre richieste di perdono sono state sufficienti a purificarci, quel tanto che basta per intravedere la direzione verso la luce?
“Così pure rimane indelebile per sempre quel tintinnare dell’acqua nel catino. È la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini, l’abbiamo “udita con gli occhi”, pieni di stupore, dopo aver sgomitato tra cento fianchi, per passare in prima fila e spiare da vicino le emozioni della gente.
Una predica, quella del Giovedì Santo, costruita con dodici identiche frasi: ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su un prevedibile copione. Priva di retorica, pur nel ripetersi di passaggi scontati: l’offertorio di un piede, il levarsi di una brocca, il frullare di un asciugatoio, il sigillo di un bacio”.
Il Signore Gesù Cristo si preparava al suo martirio, lasciando un ultimo messaggio agli Apostoli: continuare sulla terra la sua opera di conversione.
Gesù mostrò loro, quella sera, come servire i fratelli, in umiltà, piegandosi fino a toccare i loro piedi sporchi, affinché riconoscessero il valore immenso di chi sa farsi piccolo e rendersi notevolmente “fuori moda”, secondo i dettami della società.
Infatti, don Tonino Bello ribadisce: “Una predica strana. Perché, a pronunciarla senza parole, genuflesso davanti a dodici simboli della povertà umana, è un uomo che la mente ricorda in ginocchio solo davanti alle ostie consacrate.
(…) Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua.
La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare … sui piedi degli altri”.
Al termine di questo viaggio spirituale, siamo, dunque, solo all’inizio della lunga trasformazione interiore che ci porterà alla presenza del Padre.
Un primo step è fatto, ora non ci sopraffaccia la fatica, ma anzi corrobori le nostre membra, perché il masso davanti al sepolcro, che tra poche ore svelerà una tomba vuota per tutto il mondo pagano, sia per noi pieno di luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Don Tonino Bello conclude: “Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa.
Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci, finalmente, dalla testa ai piedi”.
Antonella Sanicanti
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