La sofferenza lancinante che a distanza di anni le strappa le viscere, e non sa cosa darebbe per poter tornare indietro e cambiare tutto. Perciò desidera aiutare altre donne che vivono la sua stessa condizione.
Si parla molto, oggi, della banalizzazione dell’aborto e di come, tra le adolescenti, abortire sarebbe diventato poco più che andare dal manicure.
La cultura dell’apparenza e del cinismo, però, crollano come un castello di carte, di fronte al profondo trauma che queste esperienze provocano.
Il “grido silenzioso”
Anni fa, il ginecologo Bernard Nathanson, pro choice pentito, paragonò l’aborto a un “grido silenzioso”. Il grido del bambino che, allo stato fetale, non è in grado di manifestare in alcun modo il suo dolore e il suo strazio nell’essere dilaniato ed estratto a forza dal ventre della madre. Un grido silenzioso è però anche quello della donna che abortisce e che, per anni, custodisce dentro di sé i demoni del rimorso. Assieme al figlio muore un po’ anche la madre.
Nel mondo, le donne che hanno abortito sono come dei fantasmi. È molto raro che esse confidino apertamente a qualcuno ciò che hanno fatto. Eppure, nei paesi dove l’aborto è legale da parecchi anni, si calcola che la percentuale approssimativa delle donne che vi hanno fatto ricorso, oscilli tra il 10% e il 20%. Numeri impressionanti e raggelanti. Una donna che ha abortito non lo dirà mai ad alta voce per un motivo molto semplice: è tutt’altro che qualcosa di cui andare fiere.
Donne fantasma, nell’indifferenza del mondo
Abortire procura un dolore che dura tutta la vita e che stride con l’indifferenza del mondo: hai tenuto il bambino? Bene, brava… Non lo hai tenuto? Pazienza, evidentemente non eri nelle condizioni di crescerlo, anzi, alla fine, meglio così. Ogni scelta per la vita viene messa sullo stesso piano di ogni scelta per la morte e non ci vuole chissà quale intelligenza o levatura morale, per comprendere quanto assurdo sia questo.
Una donna che ha abortito si porta nel cuore un dolore difficile da esprimere. Un dolore, frutto di un rimorso, che può avere uno sbocco e assumere un significato se e soltanto se quella donna, da un lato riconosce pienamente il suo errore e, dall’altro, incontra qualcuno che le indica la strada del perdono.
È la paura che sbarra la strada alla vita
Alla luce di ciò, è esemplare la breve ma intensissima video-testimonianza riportata in anonimo da Pro Vita & Famiglia. La parola chiave di questa storia è paura. “Rimasi incinta a 19 anni e mi spaventai da morire”, racconta Marta (nome di fantasia), che oggi ha più di sessant’anni.
“Mi spaventai perché pensavo la mia vita sarebbe stata stravolta – prosegue la donna –. Avevo paura del giudizio degli altri. Avevo paura di aver fatto una cosa incredibile. Invece non mi ero resa conto che avere un figlio è un dono. La paura ha avuto il sopravvento, è stata la paura, la paura di tutto, la paura di non essere all’altezza, di non essere una madre affettuosa e generosa”.
Marta si recò dunque al consultorio, dove le dissero che “la cosa era abbastanza semplice. Bisognava andare all’ospedale, con qualche ora si toglieva il problema”. Tutto qua. “Non mi prospettarono nessun’altra possibilità”. Non le fecero nessun’altra domanda che potesse indurla a riflettere sulla sua scelta.
“È stata un’esperienza traumatica, allucinante – dichiara Marta con un filo di voce –. Era talmente forte il dolore nella mia coscienza che non ho più pensato, ho rimosso l’evento e questo forse è stata la cosa più grave perché per decenni non ho più pensato alla cosa”.
Una violenza contro se stesse
È verosimile che, forse anche per il trauma del suo aborto, Marta non sia riuscita ad avere figli. Lei stessa, infatti, confida: “Adesso mi capita che se vedo un bambino sto malissimo, come se fossi morta quel giorno. Usare violenza contro un altro essere umano è solo un’autodistruzione. Non ho incontrato una persona che mi abbia detto: “cosa stai facendo?”. Ripenso sempre a quel momento. Non aver paura di chiedere aiuto… Questo direi non è una violenza contro un’altra persona, è una violenza contro se stessi. Adesso darei tutto l’oro del mondo per ritornare a quel momento, per avere una seconda possibilità”.
Nella sua disgrazia e nel suo dolore senza fine, Marta ha avuto la consolazione di trovare qualcuno cui confidare dopo moltissimi anni la sua terribile esperienza. Abortire è come trafiggersi il cuore con una spada di ghiaccio, impedendosi di comprendere il peso delle proprie azioni. Un ghiaccio che solo il calore umano e il perdono possono sciogliere.
Luca Marcolivio