Quell’ordine del governo che ha cambiato per sempre le vite di 4.500 donne, senza alcun consenso. 67 di loro, oggi, chiedono giustizia.
Ci sono traumi che lasciano il segno, che non ti abbandonano, anche se cerchi con tutte le tue forze di dimenticare. Possono trascorrere molti anni, impari a conviverci, ma i ricordi restano e a volte ti tormentano, anche se la colpa non è tua.
È una storia che lascia senza parole quella che viene dalla Groenlandia, e che dà modo di riflettere e pensare. Tra le prime donne che hanno deciso di esporsi e raccontarla c’è Naja Lyberth, attivista e psicologa che ha vissuto in prima persona un’imposizione che l’ha segnata per sempre.
Erano gli anni ’60/’70, come riporta Avvenire, quando, come stabilito dal governo danese, 4.500 donne di etnia inuit che vivevano in Groenlandia si videro impiantare una spirale senza aver dato alcuna autorizzazione.
Donne ferite nella loro intimità per sempre
Oggi, oltre 50 anni dopo, 67 di quelle donne chiedono giustizia al governo danese, con un risarcimento pari a 300 mila corone (40 mila euro) a testa. All’epoca dei fatti, la Danimarca applicò una politica di limitazione delle nascite degli inuit in gran parte all’insaputa delle donne, senza alcuna autorizzazione, neanche da parte dei genitori delle minori, all’oscuro di tutto.
Ed è proprio per molte di quelle ragazze giovani che l’impianto della spirale si tradusse nella sterilità a vita. In pochi anni, l’obiettivo di limitare le nascite dei nativi inuit fu raggiunto, tant’è che si dimezzarono, con pesanti conseguenze sulla demografia groenlandese.
Naja Lyberth, attivista e psicologa, non dimenticherà mai il giorno in cui la contattarono per recarsi in un ospedale vicino la sua scuola, nella città di Maniitsoq, per quello che credeva fosse solo un controllo medico di routine.
Invece, una volta lì, un medico danese la fece sdraiare su un lettino, e senza darle alcuna spiegazione, le impiantò una spirale nel corpo. Naja, all’epoca 14enne, non aveva ancora avuto alcuna esperienza con un ragazzo, neanche un bacio.
Contraccezione senza consenso su donne inuit, il racconto choc di Naja
Le è stato negato di opporsi all’impianto della spirale. «Il dispositivo, dalla forma a T, era molto grande rispetto alla dimensione del mio utero. Ho sentito un dolore terribile, vergogna e senso di colpa», ha raccontato ad Avvenire.
Non ne parlò mai con i suoi genitori, né con altre sue compagne, ma le conseguenze furono tremende. Tre anni più tardi tolse la spirale, ma ebbe problemi addominali, con dolori lancinanti a ogni ciclo mestruale e in più è riuscita ad avere un solo figlio, a 35 anni e con immani difficoltà di concepimento.
Per anni ha tentato di rimuovere il ricordo di quel trauma, poi, dopo la menopausa, è riemerso in tutta la sua forza e alla fine, ha deciso di non nasconderlo più sotto la sabbia.
La Commissione di inchiesta
Nel 2017, dopo essersi sottoposta a sedute di psicoterapia, ha cominciato a confrontarsi con altre donne della sua generazione. Ma è stato nel 2022, dopo un podcast della tv danese Spiralkampagnen, che ha trovato documenti inerenti al programma del governo danese per la limitazione delle nascite della popolazione autoctona groenlandese.
Molte donne come Naja, dopo quell’impianto forzato di contraccettivi, hanno sofferto di problemi di salute e fertilità. E ora, dopo che la verità è emersa, il governo danese ha aperto una Commissione d’inchiesta per capire cosa sia realmente successo.
Copenhaghen avrebbe assicurato che darà le prime risposte nel 2025, ma Naja stessa, a capo delle donne che chiedono giustizia, si è detta contraria:«Non possiamo più aspettare, anche perché alcune di noi sono 80enni e vogliono la verità adesso, non tra due anni».
Naja e le altre donne, dunque, stanno lottando per risposte celeri ed esaurienti. Vedremo cosa accadrà.