Nel corso dell’anno passato ‘The best school’ ha proposto una serie di conferenze sul nuovo testamento, in questi incontri, a fasi alterne, i relatori sono stati: Bart D. Ehrman, docente di Religious Studies presso l’University of North Carolina, e Michael R. Licona, docente di Teologia presso la Houston Baptist University. Il motivo della presenza di questi due teologi è data dal fatto che Ehrman presenta una visione contraria alla validità del nuovo testamento, mentre Licona è uno strenuo difensore delle verità in esso contenute.
Nel corso degli incontri Ehrman ha sollevato delle obbiezioni sui fatti raccontati nel nuovo testamento che all’incontro successivo venivano smontate dal collega. La prima obbiezione portata da Ehrman riguarda le discrepanze tra i racconti dei quattro evangelisti. Il teologo precisa, prima di sollevare le obbiezioni, che si tratta dei libri più importanti della storia e che sicuramente raccontano in modo non storico degli avvenimenti accaduti al tempo come la rabbia suscitata dalla predicazione di Gesù, lo sconvolgimento dei regnanti dell’epoca e la decisione di crocifiggerlo.
Esclusi questi fatti il resto dei racconti presenta delle differenze che ne minerebbero l’attendibilità, egli fa l’esempio delle differenze tra il racconto dell’ultimo pasto che Gesù tenne con gli apostoli, nel vangelo di Marco si parlava di un pranzo mentre in quello di Giovanni di una cena, inoltre l’unico che parla di Gesù come l’agnello di Dio che toglie i peccati è Giovanni: “ E’ l’unico che parla di Gesù come “l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, cioè come l’agnello pasquale tanto che nel vangelo di Giovanni egli muore lo stesso giorno in cui gli agnelli pasquali vengono massacrati nel tempio, nel giorno di preparazione per la Pasqua”.
Questo è solo un esempio delle divergenze tra i racconti, ce ne sono altre sulla resurrezione e sulle apparizioni, tutte queste differenze rendono secondo Ehrman i vangeli inaffidabili. Sull’argomento Licona si trova in forte disaccordo con il collega, l’attendibilità storica dei vangeli non può essere inficiata da dettagli discordanti, ne dalle formule di racconto utilizzate dai singoli, seguendo questo ragionamento, secondo il teologo, non dovremmo considerare attendibile nessun documento storiografico su greci e romani (ad esempio), inoltre le differenze di cui parla il collega per lui non variano il messaggio di fondo ne gli avvenimenti.
Infine Licona spiega che con un lavoro di ricerca adeguato ci si rende conto che ci sono altre prove dei fatti narrati dagli apostoli e che questi non si lasciavano ingannare facilmente: “Abbiamo ragione di credere che gli evangelisti non erano né troppo indiscriminati nell’uso delle loro fonti né troppo creduloni. Certo, non possiamo escludere che alcune storie dei Vangeli contengono leggende o abbellimenti, ma certamente tutti e quattro presentano un ritratto simile di Gesù come Figlio unico e divino di Dio, che è venuto a portare il regno di Dio, offrire la salvezza, che fu crocifisso, e sconfisse la morte. Anche se questo basterebbe a confutare i dubbi sollevati da Ehrman ma Licona vuole concludere sottolineando come le grandi somiglianze tra i Vangeli superino di gran lunga le differenze.
Se la seconda obbiezione di Ehrman si basa sulla tradizione orale poco affidabile ed in un certo senso si collega al discorso delle differenze tra i vangeli, in questo caso i dubbi sollevati sono pura disinformazione come spiega bene Licona: “Un numero significativo di studiosi moderni del Nuovo Testamento, forse anche una maggioranza risicata, afferma che la fonte utilizzata da Marco è stato uno dei discepoli più vicini a Gesù, Pietro, mentre Luca si è rifatto a Paolo (con il quale aveva viaggiato) e la fonte primaria di Giovanni era un testimone oculare, uno dei discepoli di Gesù. Da questo ne consegue che “non è affatto vero che Marco, Luca e Giovanni sono i destinatari di storie su Gesù che erano state tramandate da qualche centinaio di persone prima di arrivare a loro”.
L’ultima obbiezione è forse quella più affascinante di tutte, Ehrman sostiene che Gesù non abbia mai detto di essere il figlio di Dio e che dunque tutta la dottrina su cui si fonda la religione cristiana è un falso storico: “Se il Gesù storico davvero non predicò dicendo di essere Dio in terra, c’è qualcos’altro che poteva forse dire di più significativo? Questa sarebbe la cosa più sorprendente che, concettualmente, avrebbe potuto dire. Eppure, come si spiega il fatto che tali parole non si trovano in nessuna delle nostre fonti precedenti a Giovanni? La spiegazione più probabile è che Gesù in realtà non ha detto queste cose”.
A questa obbiezione Licona risponde accusando l’avversario di aver dato importanza solo agli scritti di Paolo, dove, in effetti, non viene lasciato capire nulla di tutto ciò. Ma che Gesù fosse figlio di Dio non si evince da una sua proclamazione diretta, bensì dai suoi gesti e dalle risposte che dava a chi lo accusava di blasfemia. Licona cita i miracoli e l’esempio del paralitico a cui Gesù aveva perdonato i peccati, in questo caso gli ebrei lo accusano dicendo che solo Dio può perdonare i peccati e lui risponde: “Questo è corretto. Solo Dio può perdonare i peccati!”.
Il teologo suggerisce, dunque, che il disvelamento della sua identità sia stato indiretto e progressivo e che tracce della sua natura divina si possono trovare in tutti i vangeli, poi conclude dicendo: “Si nota che questi insegnamenti sono chiari paralleli nel vangelo di Giovanni. E quando si aggiunge che allo stesso modo Marco ha a sua volta presentato Gesù come Dio in un certo senso, si osserva un ritratto coerente di Gesù, presentato da tutti loro, anche se con differente enfasi”.