Con il Dpcm contro il Coronavirus che obbliga alla chiusura alle 18 i ristoranti, gran parte dei ristoratori rischiano di andare in grande difficoltà.
Da qui si origina una forte protesta nel mondo della ristorazione. Con la chiusura anticipata sancita dalle decisioni prese dal governo, i ristoranti prevedono di perdere addirittura oltre al 50 per cento del loro fatturato. Per alcuni, la perdita sarà pari al 70 per cento, per altri fino all’80 per cento.
L’allarme lanciato da ristoratori e chef stellati è drammatico
L’allarme lanciato perciò dagli chef stellati è al limite del drammatico. Si parla di una misura “che non tiene conto della natura dell’attività”. Di conseguenza, un provvedimento che “dimostra una scarsa conoscenza alla base del settore“. All’agenzia Agi il titolare romano del ristorante di Fiumicino “Al Porticciolo”, Gianfranco Pascucci, ha spiegato che “bar, ristoranti, pub”, sono stati messi “tutti in un unico calderone, senza distinguere le categorie”.
“Ci sono ristoranti che dopo cena poi diventano disco, si balla, le attività di ristorazione non sono tutti uguali“, ha continuato il cuoco stella Michelin. Dal suo punto di vista, “la chiusura alle 18 non ha senso. Nei ristoranti c’è il pranzo e c’è la cena. Le 18 non è un compromesso. Non siamo un ristorante anglosassone in cui si mangia a tutte le ore”.
I ristoratori sulle decisioni del governo? “Non hanno criteri adeguati”
Per l’imprenditore le decisioni prese dal governo non hanno criteri adeguati alle esigenze delle persone. Insomma, si parla sopra i cittadini con lo schiacciasassi per prendere misure al limite della disperazione senza nemmeno alcun presupposto scientifico alla base. Insomma, si combatte l’emergenza senza un piano, con improvvisazione e incapacità, aggiungendo emergenza sull’emergenza.
“Non si cambiano tradizioni gastronomiche in una settimana”, spiega Pascucci. “Quest’orario dimostra che non c’è conoscenza di quello che è il mondo della ristorazione, uno dei capisaldi del patrimonio italiano”. Per questa ragione la domanda del ristoratore stellato al governo è, perlomeno, di “coinvolgere i diretti interessati”.
La protesta dello chef Vissani e la rabbia dei ristoratori
Dal punto di vista della sicurezza, per lo chef è possibile mantenere tutte le regole di distanziamento e non mettere a rischio i clienti. “Il nostro ristorante è considerato sicuro, abbiamo rinunciato a una parte di coperti per rispettare le regole. L’autobus su cui viaggia mio figlio per andare a scuola è meno sicuro del mio ristorante”, spiega.
Oltre a lui è intervenuto anche il famoso chef Gianfranco Vissani, profondamente scettico e in disappunto per le nuove regole stabilite dal governo che rischiano di mandare in forte crisi una categoria che rappresenta una parte importante dell’economia italiana, tra ristoranti e indotto.
Vissani contro il Dpcm che blocca i ristoratori: “è ridicolo”
“Abbiamo fatto carte false per poter lavorare a maggio, abbiamo montato plexiglas ai tavoli che sembrano camere mortuarie, loculi. Ma va bene se questo serve a restare aperti. Ora la mazzata della chiusura alle 18″, ha spiegato Vissani. Il cui giudizio è impietoso. “È ridicolo”, afferma. “Il coronavirus non ha orario quando arriva. Bisognava tenere i bar aperti fino alle 20 e i ristoranti fino alle 24”.
Per questo Vissani non crede nemmeno alle promesse del premier Conte quando parla di “ristori” per la categoria. Come nella prima fase, infatti, molte delle promesse dell’esecutivo si sono rivelate carte false per imbonire le categorie. Molte famiglie a cui erano stati promessi sussidi sono rimasti tutto il tempo a bocca asciutta, senza entrate.
La sfiducia riguardo i “ristori” promessi dal governo
Chi aveva un doppio stipendio in famiglia, si è salvato. Gli altri sono dovuti andare avanti con i risparmi. I più malcapitati, invece, sono finiti a chiedere aiuti alle associazioni caritatevoli, come dimostrano i dati in crescita di quanti si sono recati agli sportelli ad esempio della Caritas.
“Finora oltre ai 600 euro non è arrivato più nulla. I 2 miliardi di cui si parla copriranno sì e no il 20 per cento delle persone che hanno bisogno di sostegno. E le altre?”, chiede Vissani. “Noi rappresentiamo il 13 per cento del Pil. Siamo il colore, la gioia, ma chi fa ristorazione in questo momento lo fa solo per passione”.
La filosofia del “take-away” che non vale per tutti
Anche sul tema dell’asporto, grazie a cui sembra che alcuni ristoranti riescono a rimanere in vita, altri aumentano persino il proprio fatturato, non tutti sono d’accordo. Ci sono ristoranti che per tradizione, approccio, abitudini, non hanno molto a che fare con la filosofia del “take-away”. “Non fa per me. Il ristorante è a 20 chilometri da Todi, a chi vendo il cibo? Ai cinghiali?”, ha commentato ironico Vissani.
La proposta del ristoratore è chiara: “Non ce l’ho con il governo. Capisco che stanno facendo uno sforzo, ma allora accantoniamo il debito pubblico fino alla fine della pandemia e a livello europeo diamo sostegno a tutti. In questo modo possiamo anche essere il lockdown totale”.
L’incomprensione di chiudere i ristoranti e lasciare altri aperti
Anche lo chef del locale “dylio by Apreda”, nel lussuoso “The Pantheon Iconic Rome Hotel”, attacca duramente il Dpcm. “Siamo scossi perché arrivano queste comunicazioni da un giorno all’altro e la ristorazione vive di prenotazioni, di cibo, di ordini. Ho riaperto la settimana scorsa l’hotel dopo 8 mesi che eravamo chiusi. Abbiamo fatto il possibile per metterci in regola e ora dall’oggi al domani dobbiamo ricominciare daccapo“.
Secondo Apreda, infatti, “un ristorante non può essere più o meno rischioso di altre cose. Chiudere alle 18 vuol dire chiudere del tutto. Da noi si lavora soprattutto la sera”. Per lo chef “doveva esserci maggiore elasticità sull’orario”, in quanto “si potevano fare molte cose, ma una decisione così dura e mirata lascia poso spazio di manovra”.
Il morale che comincia ad andare giù
Anche per lui, gli aiuti governativi sono una chimera. “Io ho ragazzi che aspettano ancora la cassa integrazione. E anche il morale va giù”, spiega. “La buona volontà c’è ma con una chiusura totale serale è finita. Di giorno lavorano per lo più i ristoranti vicino agli uffici. Molti colleghi chiuderanno del tutto”.
Più aperto alle misure il tre stelle Michelin Heinz Beck, chef del ristorante “La Pergola” del Waldorf Astoria Resort “Cavalieri” di Roma, che afferma: “Vediamo come va. Speriamo almeno di salvare il Natale, una festa cui tutti siamo legati”. “Se la curva dovesse crescere ancora stiamo pensando ad alcune alternative, ma è presto per parlarne. Speriamo di respirare a Natale”, commenta.
Le alternative del “take away” o del “lunch prolungato”
Nei casi in cui i ristoranti lavorano grazie ai clienti dell’albergo, per i quali non ci sono limiti di orario, i proprietari sono infatti più ottimisti. Ma le uniche alternative, oltre ai pranzi, sono “take away o un lunch prolungato magari con una nuova formula che duri tutto il pomeriggio. Ma non risolve molto”.
Bisognerò cioè capire quale sarà la risposta dei clienti, se cambieranno in poco tempo le abitudini oppure no. In quel secondo caso, saranno guai. “Sarà un mese difficile e speriamo che non ci sia un’ulteriore stretta”. Per alcuni, però, come lo chef Filippo La Mantia, l’umore è del tutto pessimo.
La rabbia di La Mantia: “Così è uno stillicidio incredibile”
All’agenzia Adnkronos La Mantia ha parlato, con rabbia, di “una situazione anomala”. “A pranzo il Covid nei ristoranti non c’è e dalle 18 in poi sì? C’è un’insicurezza di base da parte del governo che non riesce a visualizzare la situazione”. “Così è uno stillicidio incredibile”, è l’affermazione netta. “La cena non esisterà più fino a novembre ma credo che in un mese non si risolverà la situazione”.
Per alcuni, infatti, non c’era la necessità di implementare queste restrizioni. “Sabato sera avevo tutti i tavoli occupati, le persone alle 19.10 sono venute a cena e poi alle 22.30 sono andare via senza fare drammi”, dice lo chef siciliano a cinque stelle, titolare di “Oste e cuoco”.
Le spese sostenute per la sicurezza ora sono inutili
“La gente non è cretina che va nei posti in cui non si sente in sicurezza. Se vanno al ristorante è perché si sentono sicuri. Le persone sono stupite per noi e per quello che dobbiamo sopportare pur avendo agito e agendo ogni giorno con correttezza e in sicurezza”, è l’amaro commento di La Mantia.
Che dice: “Vorrei far vedere le spese che abbiamo sostenuto in questo periodo per mantenere tutto in sicurezza. Settantamila euro l’anno sono andate via solo per l’impresa di pulizie, è solo una voce ma ne potrei elencare altre mille: dalle 4-6 mascherine al giorno per i dipendenti, ai litri e litri di gel igienizzante, agli spray disinfettanti. E non è servito a nulla. Mi fa arrabbiare che veniamo considerati come luoghi di movida, il ristorante non fa parte della movida”.
L’amarezza è anche dovuta al fatto che se i ristoranti sono chiusi, subito davanti alle saracinesche ci sono autobus pieni e gente che si accalca nelle strade. Per questo i provvedimenti sono senza criterio e colpiscono categorie contro altre categorie, spiega. “Le manifestazioni se legali e sane sono legittime, fanno parte dei diritti di uno Stato civile”.
Giovanni Bernardi