Il dramma dell’immigrazione alla luce della fede
Da anni ormai non si fa che parlare di crisi. Crisi economica anzitutto, ma anche crisi demografica, crisi culturale, crisi educativa, crisi dei valori.
Di sicuro l’economia stenta a riprendere i ritmi accelerati dei decenni scorsi: dalla ricostruzione del dopoguerra al boom economico, fino agli stessi anni ’80 e ’90. E’ innegabile poi che sia in crisi la famiglia, con l’aumento dei divorzi e del numero delle convivenze sempre più fluide e prive di seri ancoraggi. E’ infine in drammatica crisi la scuola, tra mancanza di educazione e crollo verticale della stessa istruzione di base. La stessa Chiesa, almeno in Italia e in Europa (ma non così in Africa per esempio), registra tutta una serie di preoccupanti flessioni: meno battesimi, meno matrimoni religiosi, meno vocazioni, meno ordinazioni sacerdotali, meno persone a messa, etc. etc. Ogni anno in molti paesi europei di lunga e consolidata tradizione cattolica, come l’Italia la Spagna la Francia o l’Austria, chiudono molti conventi e monasteri, e sono sempre più le scuole paritarie che fanno fatica ad andare avanti.
L’immigrazione di massa degli ultimi anni, diciamo almeno dal 2000 in qua, sembra essere la ciliegina sulla torta di una situazione però tutt’altro che rosea e da festeggiare. La politica è divenuta del tutto sorda ai veri problemi dei cittadini, specie dei cittadini più poveri e deboli, e in nome degli idoli del melting pot e del Nuovo ordine mondiale (senza frontiere e Stati nazionali), non si colgono appieno i rischi immensi legati alla perdita dell’identità culturale, etnica e spirituale di una nazione.
Oggi, un libretto agile e di facile lettura ci spiega i disagi e i danni che immancabilmente seguiranno ad una immigrazione incontrollata e anarchica come quella che, soprattutto in Italia, stiamo vivendo da anni (cf. Anna Bono, Migranti!? Migranti!? Migranti!?, edizioni Segno, Udine 2017, pagine 150, euro 12).
L’Autrice è stata ricercatrice in Storia e istituzione dell’Africa, presso l’Università di Torino e ha pubblicato oltre 1600 articoli sui problemi dello sviluppo, dell’immigrazione e dell’integrazione degli stranieri. Alla luce dei suoi studi e delle sue ricerche, stiamo attraversando una situazione esplosiva, che deve assolutamente essere corretta. “Il momento storico è davvero drammatico. A 70 anni dalla creazione delle Nazioni Unite, dopo oltre mezzo secolo di cooperazione internazionale allo sviluppo, dopo una serie di Piani Marshall per l’Africa delle crisi senza precedenti (…) mettono di fronte all’evidenza che un progetto di sviluppo sostenibile che pareva il migliore è invece insostenibile. La povertà non si sconfigge trasferendo migliaia di miliardi di dollari dai paesi ricchi ei paesi poveri e incoraggiando milioni di persone a intraprendere il percorso inverso” (p. 141).
La Chiesa cattolica da parte sua, ha la consapevolezza teologica, di essere stata fondata per evangelizzare tutti gli uomini e per portare a tutti, pur nella diversità di ciascuno, l’identico messaggio della benefica liberazione di Cristo. Essa quindi non può escludere dalla sua carità nessun essere umano, battezzato o meno, né può opporsi – a priori – al desiderio di alcuni di fissare la loro dimora in un paese diverso da quello di nascita o di origine.
Ma dire solo questo sarebbe dire troppo poco. Il magistero sociale della Chiesa, vecchio quanto il cattolicesimo e non riducibile alle sapienti encicliche successive alla Rerum novarum, ha detto ben altro e sempre all’insegna dell’equilibrio, del senso di giustizia e di solidarietà che caratterizza il messaggio evangelico.
Tra i documenti più recenti e autorevoli, il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato sotto la guida di Giovanni Paolo II, offre qua e là alcuni elementi importanti in ordine alla giustizia sociale, ai diritti e ai doveri dei cittadini, e alla protezione del bene comune, criterio ultimo di ogni politica degna di questo nome.
Esplicitamente poi, al n. 2241, si fa una stringata sintesi del rapporto tra il dovere dell’accoglienza (da parte degli Stati sovrani) e i doveri degli accolti, unendo in poche righe mirabilmente l’etica solidaristica cattolica con i principi fondanti del realismo cristiano il quale non si è mai illuso di poter cancellare tutti i mali dal mondo, come la povertà, la guerra, la violenza, la malattia, etc.
“Le nazioni più ricche sono tenute ad accogliere, nella misura del possibile, lo straniero alla ricerca della sicurezza e delle risorse necessarie alla vita, che non gli è possibile trovare nel proprio paese di origine”. Qui si sente fortemente l’evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso”, sino al punto di cedere qualcosa di nostro (magari un po’ di sicurezza o di benessere) per il sostegno al fratello che soffre. La stessa munificenza però va esercitata non alla cieca o da prodighi, ma “nella misura del possibile”. Oggi la misura, con una crisi economica spaventosa e con una disoccupazione giovanile importante, sembra essere davvero colma. Ma non pochi politici, venditori di fumo (ed ottimi procacciatori di voti…), desiderano far di tutto per illudere i cittadini, colpevolizzandoli e redarguendoli, se si pongono criticamente di fronte ad una immigrazione di tipo sempre più neo-colonialistico e neo-imperialistico.
D’altra parte, secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, “Le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l’esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche, in particolare al rispetto dei doveri dei migranti nei confronti del paese che li accoglie”.
In altre parole, questa auspicabile accoglienza non può essere né assoluta, né incondizionata, e neppure – come sta avvenendo oggi in Europa – così massiccia da mettere in pericolo la cultura, l’identità religiosa e la sopravvivenza della società ospitante la quale, seppur ricca (rispetto ad altre meno ricche), non manca mai né di poveri, né di varie debolezze sociali, politiche e strutturali.
Antonio Fiori
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