Durante l’udienza generale il “j’accuse” del Papa contro un’ingiustizia vergognosa

Nel corso dell’abituale udienza del mercoledì, papa Francesco denuncia un male che dovrebbe indignare le coscienze di tutti gli uomini e nessuna autorità civile dovrebbe permettere.

La dignità del lavoro va oltre il semplice guadagno: è un mezzo di umanizzazione. L’incarnazione di Gesù si esprime anche in questo aspetto: lui stesso eredita dal suo padre putativo quello che, già all’epoca era considerato un “lavoro usurante”.

Un falegname che predica? Che scandalo!

Proseguendo il suo ciclo di catechesi su San Giuseppe, durante l’udienza generale odierna, papa Francesco si è soffermato su un ulteriore risvolto dello sposo della Vergine Maria. Gli evangelisti Matteo e Marco lo descrivono come “falegname” o “carpentiere”: una definizione che qualificava “sia gli artigiani del legno sia gli operai impegnati in attività legate all’edilizia”.

C’è una condizione che accomuna Gesù al suo padre putativo San Giuseppe: quella del mestiere di falegname. Da ciò, derivano una serie di considerazioni, sorprendentemente molto attuali.

Quello di San Giuseppe e di Gesù, dunque, era un “mestiere piuttosto duro” che “al punto di vista economico non assicurava grandi guadagni, come si deduce dal fatto che Maria e Giuseppe, quando presentarono Gesù nel Tempio, offrirono solo una coppia di tortore o di colombi (cfr Lc 2,24), come prescriveva la Legge per i poveri (cfr Lv 12,8)”.

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Inevitabile, dunque, che gli abitanti di Nazaret si stupiscano nel momento in cui il figlio del falegname Giuseppe inizia a predicare: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi?» (Mt 13,54), si domandano “scandalizzati di lui” (cfr v. 57), poiché “era un falegname ma parlava come un dottore della legge”.

Non è il pane che dà la dignità

La condizione lavorativa di San Giuseppe e di Gesù, ha detto il Pontefice, fa pensare “a tutti i lavoratori del mondo, in modo particolare a quelli che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche; a coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero; alle vittime del lavoro; ai bambini che sono costretti a lavorare e a quelli che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare”.

Il pensiero del Santo Padre è andato anche “a chi è senza lavoro; a quanti si sentono giustamente feriti nella loro dignità perché non trovano un lavoro”. Vi sono, ha ricordato, molti giovani, molti padri e molte madri” che “vivono il dramma di non avere un lavoro che permetta loro di vivere serenamente.

Tanti uomini e tante donne si sentono “giustamente feriti nella loro dignità perché non trovano un lavoro”. Ciò che dà dignità, infatti, non è “portare il pane a casa” (anche “alla Caritas” si può ottenerlo) ma guadagnare il pane”: tutti i “governanti”, ha aggiunto il Papa, devono dare questa possibilità.

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Per molte persone, la mancanza di lavoro diventa un fatto drammatico al punto di far perdere loro “ogni speranza e desiderio di vita”. Specie “in questi tempi di pandemia”, molte persone hanno perso il lavoro “e alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. Francesco ha ricordato questi sfortunati e le loro famiglie, con un istante di silenzio.

Una lezione di concretezza

Lavorare, ha proseguito Bergoglio, non serve solo “per procurarsi il giusto sostentamento” ma anche al “nostro cammino di santificazione”. Il lavoro è “un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo”.

Anche per questo, “è bello pensare che Gesù stesso abbia lavorato e che abbia appreso quest’arte proprio da San Giuseppe”. Il Pontefice ha auspicato che il lavoro sia “riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità”.

In conclusione della catechesi, il Santo Padre ha riproposto una preghiera a San Giuseppe, pronunciata per la prima volta dal suo predecessore San Paolo VI, il 1° maggio 1969: “O San Giuseppe, Patrono della Chiesa, tu che, accanto al Verbo incarnato, lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e di faticare; tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: tu che irradii oggi, l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini ma grandissima davanti a Dio, proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo; e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen”.

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