Il mondo del calcio piange la morte della sua stella più grande: la leggendaria «Perla nera», unico calciatore ad aver vinto tre mondiali con la sua nazionale.
Il grande Pelé è stato anche un uomo di fede, che non ha mai dimenticato di ringraziare Dio per i suoi doni e ha incontrato anche diversi papi nel corso della sua lunga vita che lo ha visto protagonista in tanti campi, oltre a quelli calcistici, anche al cinema.
Con la morte a 82 anni di Edson Arantes do Nascimento, detto Pelé, il mondo del pallone perde uno dei suoi interpreti più leggendari, autentica icona planetaria del calcio. Assieme a Diego Armando Maradona è unanimemente considerato uno dei più forti calciatori della storia. Forse il più completo di sempre: un mix micidiale di tecnica, potenza, velocità, in grado di segnare in ogni maniera. Col destro, col sinistro, di testa (come ricordano bene gli italiani con quel prodigioso stacco che aprì le marcature della finale di Messico ’70).
Soprannominato «O Rei» o la «Perla Nera», Pelé (un nome che non significa nulla, soltanto una storpiatura, una presa in giro da parte di altri bambini perché a 7-8 anni la futura leggenda del calcio sbagliava a pronunciare alcune parole) nasce nel 1940 in Brasile, a Três Corações.
Una carriera straordinaria
Ben presto segue le orme del padre, calciatore di buon livello, e muove i suoi primi passi nel Santos, squadra a cui legherà tutta la sua carriera salvo una parentesi finale negli Stati Uniti, nei New York Cosmos. Con la squadra del Santos vincerà tutto, campionati nazionali e competizioni internazionali.
Ma soprattutto diventerà la stella più splendente della squadra nazionale del Brasile, unico calciatore della storia a vincere tre campionati del mondo e uno dei più prolifici bomber di sempre. Dopo il ritiro sarà ambasciatore per Onu, Unesco e Fifa. È stato anche protagonista al cinema nel film “Fuga per la vittoria”, con l’iconica rovesciata che permette ai prigionieri alleati di battere la squadra del Terzo Reich.
La scoperta della malattia e l’affidamento a Dio
A settembre 2021 l’asso brasiliano aveva annunciato che si sarebbe operato per asportare un tumore del colon. A gennaio di quest’anno si sono diffuse notizie che parlavano di metastasi in diversi organi e a novembre l’82enne fuoriclasse è stato ricoverato in condizioni critiche nel reparto di cure palliative all’ospedale Albert Einstein di San Paolo.
Nella malattia Pelé si è sempre affidato alla Provvidenza: «Sono forte, ho fede in Dio, i messaggi mi danno energia» aveva scritto ai tifosi a inizio dicembre.
Già gli Antichi, col poeta Pindaro, sapevano che la gloria umana – anche quella sportiva – è effimera: l’uomo è il «sogno d’un’ombra» se non giunge un «bagliore divino» a illuminare la vita umana. «La vittoria non dipende dagli uomini, è la divinità che la dona», scriveva il poeta.
Il talento calcistico come dono di Dio
Così Pelé, il più grande campione della storia, non ha mai smesso di ricordare che il suo talento era un dono di Dio. Lo confesserà in un’intervista rilasciata nel 2009 all’Osservatore Romano: «Dio mi ha fatto il dono di saper giocare al calcio – perché è davvero solo un dono di Dio».
Insieme a Dio Pelé ringraziava anche suo padre, primo maestro di calcio e maestro di vita che gli ha insegnato a usare bene i doni ricevuti da Dio. «Mi ha insegnato l’importanza di essere sempre pronto e allenato, e che oltre a saper giocare bene dovevo essere anche un uomo».
L’incontro con tre Papi
Il campione brasiliano raccontava anche il suo incontro con tre papi: «Io infatti mi ritengo un uomo molto fortunato perché ho potuto incontrare e ricevere la benedizione di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Di quegli incontri conservo con piacere le fotografie che mi hanno spedito dal Vaticano. Con questi tre Pontefici ho potuto parlare della vita e di Dio. Sono stati dei momenti molto importanti per me. Mi sono rimasti nel cuore».
L’appello ai brasiliani
Sempre nel corso dell’intervista col giornale vaticano, Pelé ha ricordato quando rivolse un appello ai suoi connazionali dopo aver segnato il millesimo gol della sua prestigiosa carriera, il 19 novembre 1969, per dire alla gente: «Brasiliani abbiate cura dei vostri bambini». Un pensiero per i bambini, spesso abbandonati per strada alla mercé della miseria più nera. «È stata una frase che mi è sgorgata dal cuore», raccontò il fuoriclasse. «Era come se Dio stesso mi spingesse a dire quelle parole».
Anche in tempi più lontani Pelé aveva parlato del ruolo di Dio nella sua vita. Alla viglia del Mondiale vittorioso di Messico ’70, quando sembrava che la sua carriera fosse in declino, aveva detto: «Dio mi ha dato il calcio, e solo Lui me lo può togliere. Dal 1962 hanno detto che questo regno era terminato, poi lo hanno ripetuto nel 1966… Il fatto è che sono qui, disposto a giocare un’altra Coppa del Mondo. Quello che Dio dà solo Dio lo toglie».
Pelé era convinto che le sue doti calcistiche fossero «un dono del cielo, qualcosa che mi ha dato Dio».
Il desiderio di gloria eterna di un campione
Quando ha compiuto ottant’anni, Pelé ha ringraziato ancora Dio: «In primo luogo devo ringraziare Dio per il fatto di essere arrivato fino a questa età e lucido, non molto intelligente ma lucido», ha dichiarato in un video. Poi ha nuovamente detto grazie al Signore riconoscendo che «Dio è stato molto buono con me».
Infine aveva espresso il suo desiderio di essere accolto da Dio nella vita eterna: «Spero che quando andrò in cielo Dio mi accoglierà nello stesso modo in cui oggi tutti mi accolgono grazie al nostro amato calcio».