Non è un optional: essere portatori di luce è la via attraverso la quale i cristiani si santificano. Quando i cristiani distolgono lo sguardo dalla luce tutto il mondo rischia di precipitare nelle tenebre.
I cristiani sono chiamati a una missione impegnativa: essere luce del mondo, sale della terra, città sopra il monte.
È il Signore stesso a metterci sull’avviso nel Vangelo di Matteo spiegandoci, attraverso tre immagini potentissime, in cosa consiste la missione del cristiano.
Qual è la misura di tutte le cose?
Oggi le nostre vite sono dominate dall’ego-dramma. Che significa? Semplicemente quanto la cultura dominante va ripetendoci a ogni ora del giorno e della notte: ossia che siamo noi, solo noi a scegliere il copione della nostra vita. E siamo sempre noi, solo noi a scegliere la persona che vogliamo diventare. L’ego, cioè il nostro io, è al centro di tutto. L’uomo misura di tutte le cose, come diceva Protagora, il capofila della sofistica antica.
Ma per un cristiano le cose non stanno precisamente così. «Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo», ci ha avvertiti nell’ormai lontano 2005 l’uomo che di lì a poco sarebbe diventato papa col nome di Benedetto XVI.
Questo è anche il motivo per cui i protagonisti delle Scritture, a cominciare dai profeti, sono tutti investiti di una qualche missione. Non c’è alcun ego-dramma. Piuttosto, come ha detto qualcuno, c’è un teo-dramma. È Dio che scrive il dramma. Lui è l’autore di una storia dove ciascuno di noi gioca un ruolo. Un ruolo che diventa una vocazione. Ovvero una chiamata, un appello a cui presto o tardi dovremo rispondere. E decidere se vogliamo fare di testa nostra e cambiare il copione della storia scritta da Dio. Oppure se, al contrario, vogliamo accettare la nostra missione.
L’orizzonte della missione emerge dalla bellissima omelia tenuta qualche domenica fa (5 febbraio) dal vescovo americano Robert Barron, di cui abbiamo più volte parlato. Nel brano evangelico di quella domenica fa (preso dal quinto capitolo di Matteo: 13-16) Gesù stila per noi quello che appare un vero e proprio programma di vita. Che non è altro che la missione di ogni cristiano. Il Signore indica ai discepoli tre simboli potentissimi. E come sempre lo fa attraverso delle immagini. In questo caso sono tre.
Sale della terra
La prima immagine usata da Gesù è contenuta nell’invito rivolto ai discepoli, chiamati a essere il «sale della terra». Ma Cristo avverte anche: «Se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente».
Conviene notare che il sale nell’antichità era ben più che un ingrediente che esaltava e arricchiva i piatti dando loro sapore, oltre a essere simbolo di amicizia e ospitalità. Prima che venissero inventati i moderni sistemi di conservazione alimentare (refrigerazione industriale, pastorizzazione, conservazione ermetica, ecc.) la salatura, combinata con l’essiccazione, era appunto questo: un mezzo di conservazione del cibo (ovvero della vita). Una tecnica per evitare l’avaria degli alimenti. Era il sale a impedire che i cibi andassero a male.
Un fatto ben noto soprattutto a un popolo di pastori nomadi come quello ebraico, che aveva grande familiarità col deserto. Per il nomade il sale è una sostanza vitale. Mantenere viva la via del sale anche nel deserto era garanzia di sopravvivenza. Non meraviglia allora che nelle Scritture il sale, elemento ricco di simbologie profondissime, abbia un ruolo centrale. Pensiamo solo che per la sua propizia inalterabilità la Bibbia usa la formula «alleanza perenne del sale» (ad esempio in Numeri 18, 19) per simboleggiare il patto tra Dio e l’uomo. Un patto che le nostre lingue traducono con «legge perenne» o «alleanza inviolabile».
Dunque quando Gesù esorta i discepoli a essere sale della terra vuole dirci che se il sale non sala più, il mondo non solo perderà il suo gusto: di più, andrà in rovina. Si disintegrerà, votandosi alla distruzione.
Luce del mondo
«Voi siete la luce del mondo». Anche in questo caso Cristo invita a non lasciar spegnere la luce, perché non «si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa». Da qui l’appello del Salvatore: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Non a farsi vedere serve dunque la luce, ma a far vedere: è un mezzo di illuminazione. Rende visibili altre cose. Porta alla luce le cose belle. Le esalta. Ma la luce che brilla all’improvviso in un angolo buio può rivelare anche cose sgradevoli. Come la sporcizia di quello stesso angolo buio, fino ad allora coperta con la complicità dell’oscurità. Esaltare il bene e portare allo scoperto il male: questo è il compito della luce. E del cristiano.
Città sopra il monte
«Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte», dice ancora Gesù. Anche questa immagine ha il suo perché, spiega Barron. Per spostarsi, al tempo di Gesù, ci si serviva di punti di riferimento come le città, meglio se visibili a distanza come un centro abitato costruito sopra una montagna o una collina. Come avremmo fatto anche noi senza mappe o il GPS di oggi. La città sopra un monte era un mezzo di navigazione. Un faro nel deserto, in sostanza. Ovvero un punto di riferimento visibile a tutti che orientava il cammino, impediva di perdersi, di vagare nel nulla senza sapere dove andare.
La missione del cristiano: servire, servire e ancora servire
Sale, luce e città soprelevata sono gli eterni simboli della missione del cristiano. E come fa notare il vescovo Barron, sono tutti simboli di servizio. Cioè servono a qualcosa: sono mezzi, non esistono per sé stessi. Il sale serve a salare i cibi, la luce serve a far emergere qualcosa dalle tenebre, la città sopra il monte serve a essere vista da qualcuno.
Spesso tendiamo a concentrarci, fa notare Barron, soltanto sulla ricerca della nostra personale felicità. Dimenticando che santità e felicità si raggiungono soprattutto attraverso il servizio. È donandosi integralmente che ci si santifica, è servendo il fratello che si raggiunge la felicità.
In altre parole, facendosi luce per gli altri, facendosi sale per il mondo, diventando esempio e punto di riferimento per i fratelli. E soprattutto dando testimonianza della luce. Come è stato possibile, si chiede monsignor Barron, che nel cuore dell’Europa cristiana siano sorte le terribili ideologie totalitarie (nazismo e comunismo) che nel XX secolo hanno provocato un’ecatombe senza pari di vite umane? Come è stato possibile che in mezzo secolo, in un Paese dalla cultura in gran parte ancora cristiana come gli Stati Uniti, siano state soppresse 60 milioni di vite con l’aborto dopo la sentenza Roe vs. Wade del 1973?
Senza la luce di Cristo il mondo precipita nelle tenebre
È scomodo da dire, ma la realtà, se diamo ascolto al Vangelo, è semplice: il mondo è precipitato nelle tenebre perché gran parte dei cristiani sono venuti meno alla loro missione. Hanno distolto il loro sguardo dalla luce. Non hanno fatto brillare la luce dove doveva brillare, non hanno salato la terra che doveva essere salata. Invece di essere faro nel deserto, hanno rovistato nei bassifondi. Spesso i cristiani si sono girati dall’altra parte, si sono nascosti. Non di rado hanno acconsentito, a volte perfino collaborato con le ideologie della distruzione, nemiche di Dio e della vita umana.
E badiamo bene, il Vangelo chiama in causa tutti i battezzati, i discepoli, i seguaci del Signore. Non solo i vescovi, non solo i sacerdoti. Ogni battezzato. Chiunque di noi è chiamato a essere luce del mondo, sale della terra, città sul monte. Ieri come oggi.
Benedetto XVI lo ripeteva sempre: il cristianesimo è «sale», non «zucchero». È fuoco, non un gioco.