Vi è mai capitato di avere il desiderio di offrirvi a Dio per il bene di qualcun altro? Se questo pensiero vi ha sfiorato o è diventato una ferma intenzione? In quel momento avete provato paura perché la vostra offerta a Dio poteva comportare una croce dolorosa, magari un problema di salute o la morte di un caro?
Spesso sentiamo dire al Santo Padre o ai veggenti di Medjugorje che non bisogna temere le Croci che il Signore di affida, questo perché Lui lo fa con la consapevolezza che noi saremo in grado di affrontarle, ma di sicuro è umano porsi il dubbio che la croce di cui stiamo parlando comporti delle sofferenze tali che, almeno nel momento in cui ci offriamo, non vorremmo affrontare. Porsi queste domande è un bene poiché la riflessione su un simile quesito è la via per comprendere la forza della nostra fede. Certo si tratta di un primo passo che dev’essere seguito da uno successivo, ovvero la preghiera a Dio in cui gli si chiede la forza per affrontare l’ignoto.
Leggendo quanto scritto da una redattrice su ‘Aleteia’ riguardo una festa religiosa in piazza in cui la protagonista della vicenda ha provato sia il desiderio di offrirsi a Dio per una persona svantaggiata, sia la paura che quel suo desiderio arrecasse un male al suo nascituro viene da chiedersi, non avremmo reagito anche noi allo stesso modo? Per capire il dilemma che ha afflitto la protagonista di questo racconto entriamo maggiormente nel dettaglio: lei si è recata alla celebrazione e la sua attenzione è stata attirata da un ragazzo, probabilmente affetto da sindrome di Down, che durante la funzione infilava le braccia in dei cespugli noncurante del fatto che ci potessero essere spine. Quella scena ha fatto provare compassione alla protagonista che si è decisa per un momento ad offrirsi a Dio affinché desse sollievo a quel giovane.
Mentre pregava per lui una paura l’ha gelata: e se questa offerta nuocesse al bambino che porto in grembo? Il timore ha vinto sulla carità cristiana ed il giorno dopo la protagonista non riusciva a scrollarsi di dosso il senso di colpa per quanto fatto. A riguardo la redattrice scrive: “Però avvicinarsi alla sofferenza e al dolore degli altri a volte può far paura, come se farlo potesse togliere a noi, alle nostre vite a cui ci attacchiamo in maniera esasperata, come se da quello dipendesse la nostra gioia. Dallo stipendio, dalla salute, dal lavoro, dalla casa, dai progetti”. Non sono sensazioni che abbiamo provato tutti almeno una volta nella vita?
Bene, la conclusione dello scritto in questione è ciò a cui ci sentiamo di associarci, la redattrice si chiede da dove viene la sua forza e si risponde: “Vorrei davvero che la mia forza venisse soltanto da Gesù!”. Come scritto sopra questo è l’atteggiamento giusto, il passo successivo è pregare affinché Gesù ci dia quella forza che alle volte, nei momenti più ardui, in quelli in cui dobbiamo pensare con altruismo e sacrificare noi stessi, sentiamo svanire.
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