Sposata e madre di cinque figli, racconta come la fede l’abbia sorretta durante i lunghi anni di una profonda depressione.
Il suo cuore ferito comincerà a dare i primi segni di guarigione – o, meglio, di resurrezione – dal tunnel buio in cui era caduta grazie a una manifestazione sconvolgente dell’amore tenero e materno di Maria, la nostra Madre celeste.
Potremmo dire che aveva tutto dalla vita: giovane sposa, credente, un marito bello, intelligente e innamorato. Un grande amore coronato pure da una bellissima bambina. Anche la vita professionale prometteva scintille dopo gli studi alla Sorbona (nientemeno) e la scuola di giornalismo.
Il racconto del suo calvario
Cosa chiedere di più a soli 21 anni? Eppure a un certo punto la vita di Clotilde Margottin, giornalista televisiva e radiofonica francese, si è vista invadere da pensieri neri. Un male oscuro ha fatto irruzione nel suo animo: la depressione, che poco alla volta le ha levato ogni energia, speranza, gioia di vivere.
Finché un giorno non è crollata, paralizzata da una fiumana di sentimenti e pensieri accumulatisi nel tempo fino a formare in lei una spessa coltre fatta di paura, disperazione, scoraggiamento, vergogna. Una miscela micidiale, accompagnata da un opprimente senso di colpa, giunta a portarla a un passo dal suicidio.
“Rialzarsi sempre”
Clotilde Margottin ha raccontato in un libro intitolato Se relever toujours (Rialzarsi sempre) la storia della sua guarigione: un cammino intimo, interiore, al tempo stesso fisico, mentale e spirituale dove la fede ha giocato un ruolo certo non esclusivo, ma sicuramente fondamentale. Nel libro Clotilde (oggi 43enne e madre di cinque figli) descrive la sua depressione da un punto di vista medico e spirituale, distinguendo bene ciò che rientra nell’uno o nell’altro ambito.
Tutto stava andando liscio nella sua vita, ricorda Clotilde. Le cose cominciano a cambiare in peggio col parto della bambina avuta con l’uomo della sua vita, François-Xavier. Un errore medico al momento dell’epidurale le provoca infatti dei danni cerebrali, con conseguenze che dovrà trascinarsi dietro per oltre dieci anni. A aggravare il tutto il clima freddo che regna nella clinica dove partorisce. Clotilde ha una personalità molto sensibile, forse eccessivamente. Sta di fatto che patisce molto per l’indifferenza e l’indelicatezza del personale sanitario e così la gioia della nascita della sua prima figlia viene guastata da nausee, mal di testa, dolori interminabili.
La prima depressione post partum
Il post-parto non va meglio, con la giovane mamma che soffre in silenzio il contrasto tra il suo malessere e il clima di felicità che si respira in famiglia per la nascita della sua splendida bimba. Comincia a covare in lei un senso di inadeguatezza: sente di non essere all’altezza.
Ha inizio così la sua prima depressione: una depressione post partum aggravata dall’errore medico. In qualche maniera però Clotilde riesce a uscirne e per lei quello successivo sarà un periodo di relativa calma, allietato da altre due nascite consecutive. Ma la depressione l’aveva indebolita, minandola interiormente, pronta a riesplodere.
Il male oscuro si ripresenta
E difatti quel male oscuro tornerà a ripresentarsi nella sua vita in occasione delle prime prove severe: la morte del suocero, ancora molto giovane, e la malattia che colpisce suo padre. Clotilde aspetta il quarto figlio, ma la malattia del padre la fa crollare.
Paralizzata da un devastante mix di tristezza, sfinimento e impotenza, la sensazione di essere un totale fallimento si impadronisce di lei al punto da renderle impossibile portare a termine anche il compito più semplice, come apparecchiare la tavola per i suoi tre bambini. Anche col suo sposo la situazione sembra precipitare e andare lentamente a fondo in un mare di reciproche incomprensioni.
Il crollo e il tentativo di suicidio
La morte di suo padre è il colpo di grazia: Clotilde sprofonda in un buco nero.
Entrata nel tunnel della depressione grave, si vede invadere da idee suicide. Pensieri che si materializzano un 15 agosto, durante il ritrovo coi suoi cari nella casa di famiglia il giorno dell’Assunta. Momenti normalmente caratterizzati dalla gioia e dall’allegria. Ma quel giorno per la testa le passa ben altro genere di pensieri. Domande e dubbi angoscianti, che la spingono a chiedersi: «Perché vivo?», «A cosa serve?», «Non ce la faccio più».
Un senso di angoscia che si mescola alla paura di ritornare alla quotidianità dopo le vacanze. Tanto basta per farla salire in camera, nel punto più alto della casa. Clotilde racconta di aver visto la finestra aperta. Ecco la soluzione, ha pensato.
La tentazione di farla finita e di zittire il dolore è lì a un passo. A salvarla dal salto nel vuoto sono quattro mani: quelle di suo fratello e di sua sorella, che la riportano nel mondo dei vivi, nel mondo reale, lontano da quei pensieri oscuri. Quando le chiedono come sta, veramente, in lei si sblocca qualcosa. Inizia a piangere: è il primo passo verso la guarigione.
I primi passi verso la guarigione e l’abbraccio di Maria
Il tentativo di suicidio ha su di lei l’effetto di un elettrochoc salutare. Da lì in avanti prende la decisione di accettare la sua debolezza, la propria fragilità. Clotilde inizia così, affiancata dal marito, un percorso di cura che la porta affidarsi ai medici fino a entrare in una clinica psichiatrica. In quel momento ha 30 anni e sta per muovere i primi passi di un cammino che durerà molti anni, tra periodi di stasi e momenti di avanzamento verso la guarigione.
Accanto alle cure dei professionisti, Clotilde scopre l’abbraccio della madre celeste: Maria. Negli anni universitari la sua fede si era, come dire, “intellettualizzata”. Tutto cambia la sera del suo ingresso in clinica. È in quel momento, la vediamo raccontare a Famille Chrétienne, che sperimenta «una specie di prima guarigione del cuore, veramente concreta, direi perfino corporale». Improvvisamente, spiega la donna, «Maria mi avvolge con una tenerezza indicibile, che si manifesta con un oggettivo calore fisico. Mi sento come riparata dall’amore materno. La mia fede cerebrale si liquefa in questo torrente incandescente».
L’indomani, ancora scossa da quell’esperienza, chiama suo marito per raccontargli cosa le è successo. È convinta che non sarà presa sul serio. All’opposto, lui si fa silenzioso. Poi, quasi mormorando, le dice: «Sai cos’abbiamo fatto ieri sera? Tutta la nostra Équipe Notre-Dame [un gruppo di preghiera creato dai due coniugi, Ndr] è venuta a pregare Maria a casa, per te».
Una fede che si fa carne nella prova
Non sarà l’unico segno di una presenza benevolente e amorosa ricevuto da Clotilde, che confessa: «la malattia mi permette di conoscere il cuore di Gesù sulla croce e di sentire la sua presenza. La mia fede ha dovuto passare attraverso questa prova della carne per incarnarsi».
Il cammino sarà lungo: due anni e mezzo di terapia e cinque di convalescenza. All’uscita della clinica ancora deve prendere 10-12 farmaci al giorno. In questo periodo prega anche i salmi, che legge e rilegge. In particolare il salmo 22, quello del buon pastore: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me».
«Occorre, per l’amore, essere in tre… L’amore tra marito e moglie si perfeziona quando diventa trino» ha scritto Fulton Sheen. Anche il sacramento del matrimonio sarà un pilastro per Clotilde nel momento della prova: «Avevo la convinzione profonda che fossimo impegnati a tre, con Cristo. Dunque sapevamo interiormente che non eravamo soli e che Dio non ci avrebbe abbandonati mai». François-Xavier riorganizza la sua intera esistenza per stare accanto alla moglie malata e ai bambini, dandole coraggio.
I due coniugi approfondiscono la loro vita di preghiera di coppia. Si rivolgono a Gesù pregandolo così: «Prega per la nostra famiglia e per la prova che attraversa». Clotilde racconta anche l’importanza di essere entrata un gruppo di spiritualità per mamme, dove si prega via internet (lo stesso farà il marito, entrato in un cenacolo di preghiera per padri).
Un piede nell’eternità e le mani in preghiera
«Oggi posso dire di essere guarita», afferma Clotilde Margottin. «Il mio legame col Cielo si è rafforzato. Guardo alla vita terrena con un piede nell’eternità, perché non so il giorno in cui finirà».
Questa giornalista e madre di famiglia racconta di pensare spesso alle vergini stolte del vangelo di Matteo, che vivono per l’istante, senza radicarsi in nulla, e si fanno sorprendere dall’arrivo dello sposo senza olio nelle lampade. «Il mio olio è la preghiera», confessa Clotilde. «Qualsiasi cosa io viva, sono amata da Dio. Oggi lo so, c’è questo passaggio della Bibbia: «Sei prezioso ai miei occhi e io ti amo così come sei». È impresso nella mia anima».