C’è un regalo di Natale che non costa nulla e che però rischiamo di lasciarci sfuggire dalle mani. Un regalo già “pagato” da Qualcun altro, per noi, e che dobbiamo solo accogliere.
Natale, si sa, è tempo di corsa ai regali. Qualche giorno fa Confcommercio lamentava che quest’anno, tra costo della vita e caro bollette, otto consumatori su dieci avrebbero comprato meno regali durante le festività natalizie. Addirittura c’è quasi un trenta per cento che ha annunciato che non comprerà niente.
Nulla contro i regali, che rientrando nella categoria del dono rappresentano una delle più alte espressioni dell’animo umano. Però è anche vero che ogni regalo è anticipo e simbolo del Dono con la “d” maiuscola: la venuta di Gesù, l’Incarnazione del Verbo di Dio.
Ecco perché anche in tempo di magra a Natale c’è un regalo a costo zero e che non possiamo assolutamente farci mancare. Prima di dire quale sia la prenderò un po’ alla larga. Coglierò l’occasione fornita dalla bellissima meditazione di suor Elena Zanardi (Domenicane di Santa Maria del Rosario di Prato) durante il terzo capitolo del Monastero Wifi di Bologna (27 novembre 2022), una bellissima realtà che anche nella città di San Petronio ha messo radici grazie soprattutto all’impegno encomiabile di due coniugi: Gianluigi Veronesi e Lara Tampellini.
Debiti da rimettere e regole trasgredite: che differenza c’è?
Il tema affrontato da suor Elena è l’arcinota invocazione del Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti». Non è un caso, ci dice la religiosa domenicana, che nella preghiera che Gesù rivolge al Padre nel vangelo di Matteo (6, 9-15) si parli di rimettere i debiti. È una sottolineatura molto importante, perché se fare un peccato è la trasgressione di una regola, il debito «presuppone che ci sia un debitore e un creditore quindi il debito mi mette in relazione».
Quindi il peccare come debito è soprattutto la rottura di un patto, di un’alleanza con Dio. Come fa re Davide, ricorda suor Elena, quando rompe l’alleanza col generale Uria l’Ittita, eliminando con un vile escamotage – perché si era invaghito della sua sposa – l’uomo che si fidava di lui e combatteva per lui. Ecco il grande debito che Davide, grande nel peccato come nel riscatto, dovrà pagare con la perdita del figlio concepito con la sposa sottratta con l’inganno al suo servitore fedele, vestendosi di sacco e cospargendosi il capo di cenere.
Quindi, conclude suor Elena Zanardi, «il debito è un qualcosa che può essere perdonato. Mentre il peccato è infrangere una legge, il debito è una relazione che può essere perdonata». Il peccato ci mette in relazione con una norma, il debito ci mette sempre in relazione con una persona. Col perdono si riallaccia una amicizia che avevamo troncato, si ripara un rapporto incrinato.
Perché ci vuole il deserto per pagare il debito
Come fare per ripagare questo debito? Un buon inizio sarebbe quello di andare nel deserto. Mi direte che il bianco Natale non evoca precisamente immagini desertiche… Vero, ecco perché a questo punto entra in gioco Giovanni Battista, il precursore e battistrada del Salvatore, ultimo profeta e primo apostolo del Signore.
Giovanni Battista è quell’«uomo austero e radicale, che a prima vista può apparirci un po’ duro e incutere un certo timore» su cui anche papa Francesco si è soffermato nell’Angelus di domenica 4 dicembre.
Una figura all’apparenza selvaggia e severa, che si ciba di locuste e miele selvatico. Su di lui ha acceso i fari il “vescovo dei social”, l’americano Robert Barron nella sua omelia per la seconda domenica di Avvento.
Prima di tutto, va notato che Giovanni Battista, come molte altre grandi figure bibliche (a cominciare da Gesù stesso) è un assiduo frequentatore del deserto. Perché il deserto? Perché questo passaggio deliberato e cosciente al deserto? Perché il deserto è il luogo senza diversioni (il divertissement, direbbe Pascal, il divertimento) per eccellenza. Niente distrazioni: il deserto costringe e concentrarsi sull’essenziale. Ci schiaccia sulle grandi questioni della vita: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. E soprattutto su questa questione capitale: come siamo messi con Dio? Qual è lo stato della nostra alleanza con Lui?
Un invito alla conversione
Nel deserto non si sfugge a questo screening. In pratica, il deserto è un invito a convertirci. Precisamente quello che faceva Giovanni Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» (Mt 3, 2), «Fate frutti degni di conversione!» (Mt 3, 8). Cambiare mentalità, riformare la nostra vita. Per questo Giovanni parlava duro: per scuotere dal torpore del peccato, da quella falsa pace istillata dalle sue catene. Dal Battista non andavano i “giusti”, quelli che si sentivano a posto. Andavano invece quelli che, sentendosi peccatori, «accorrevano a lui e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare» (Mt 3, 5).
Certo, ci avverte Barron: «Grace comes first», prima viene la grazia di Dio. Mai cominciare la vita spirituale a partire dal peccato, e non dall’amore e dalla misericordia di Dio. Ma è anche vero, sottolinea Barron, che non c’è alcuna serie figura nella Bibbia che non faccia i conti col peccato: «C’è qualcosa di attraente nel confessare i nostri peccati».
Tanto più che la cultura dominante oggi non fa altro che esortarci ad accontentarci di quello che siamo, ci invita sempre a essere “noi stessi”. Ci scusa di tutto, ci assolve da ogni cosa. Oppure, al contrario, sa essere implacabile nella condanna, come provano i linciaggi mediatici e sui social. La cultura dominante impartisce assoluzioni senza pentimento e condanne senza perdono. Ma non parla mai di conversione, di volgere lo sguardo altrove non se ne parla.
Per questo il vescovo americano ci invita a non ascoltare queste voci: «C’è qualcosa di profondamente salutare e curativo – e lo sappiamo, perché nel profondo sappiamo di essere peccatori, sappiamo che in noi non va tutto bene – nel poter confessare i nostri peccati».
Il modo migliore di prepararsi al Natale
Ecco allora qual è il miglior regalo che possiamo farci per questo Natale: «Allora, posso suggerire una cosa a tutti quelli che mi stanno ascoltando? Andate a confessarvi questo Avvento. È un gran modo, il miglior modo, per prepararsi al Natale».
Un regalo a costo zero, perché il perdono ci è donato gratis: Cristo ha pagato il debito per i nostri peccati. Col suo sangue. E allora perché non approfittare di questa “trasfusione di grazia” del sacramento della Riconciliazione?
Suor Elena Zanardi rievoca le parole di Santa Caterina da Siena che invitava a mettersi «sotto il crocifisso perché il sangue di Cristo coli e su di noi e sia quel solvente che ci purifica da ogni peccato. In molti crocifissi medioevali vediamo che ai piedi della croce c’è un teschio, delle ossa». Questo perché «sul Calvario, il luogo dovrà era stato sepolto Adamo» il sangue di Cristo «scenda su Adamo e su tutto l’uomo con la «u» minuscola morto per il peccato». E perché così facendo, «il sangue di Cristo scendendo lo purifichi dal suo debito e restauri quel rapporto di amore con Cristo». Per questo, conclude suor Elena, la bellezza del sacrificio di Cristo in croce «non è tanto il dolore», ma il fatto «che lui ha pagato per me e il mio debito è stato ripagato».
Un invito alla confessione è giunto anche attraverso le parole di papa Francesco nell’Angelus di domenica 4 dicembre: «L’Avvento è un tempo di grazia per toglierci le nostre maschere – ognuno di noi ne ha – e metterci in coda con gli umili; per liberarci dalla presunzione di crederci autosufficienti, per andare a confessare i nostri peccati, quelli nascosti, e accogliere il perdono di Dio, per chiedere scusa a chi abbiamo offeso. Così comincia una vita nuova».