L’elezione del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti ha lasciato diversi strascichi polemici, gli avversari, sicuri della vittoria, si sono riversati in piazza per esprimere il proprio dissenso per una presidenza che non li rappresenta, ma la vittoria di Trump non è stata una questione di pochi voti, bensì una vittoria schiacciante.
Ci piace pensare che l’elettorato americano abbia espresso un voto pro vita (d’altronde i voti maggior sono stati dati dai bianchi di fede cristiana) e tralasciando altri aspetti (i più controversi del programma elettorale sciorinato da Trump in questo anno) ci vogliamo concentrare su un articolo che il costruttore ha pubblicato sul ‘Washington Examiner’ lo scorso 23 gennaio, intitolato “My vision for a culture of life” che è stato lungamente ignorato.
La premessa del neo presidente è semplice, lui è sempre stato pro vita e di conseguenza contro l’aborto se non in casi eccezionali (stupro, incesto o rischio di salute per la madre). In seguito, Trump inizia la sua disamina sugli Stati Uniti partendo da una considerazione semplice, un parallelismo tra le costruzioni e l’insieme di regole che permettono ad uno stato di funzionare: “Le regole hanno superato la prova del tempo e sono diventate il modo per assembleare le strutture che perdura e che produce bellezza. Gli Stati Uniti, quando sono al loro meglio, seguono un insieme di regole che funzionano sin dall’epoca della fondazione”.
Tra queste regole fondamentali tramandate dai padri fondatori c’è il diritto inalienabile alla vita, un diritto che con il passare del tempo si è perso. Trump identifica anche la data di questo processo di decadimento dell’importanza della vita, ovvero la sentenza del caso Wade vs Roe del 1973, in cui la corte di fatto cancellò i precedenti diritti in materia di diritto alla vita nascente, comprese le regolamentazioni di ogni singolo stato. Quella sentenza è l’inizio di una cultura della morte, che, ci dice Trump, ha spezzato un numero terrificante di vite: “più di 50 milioni di statunitensi non hanno avuto la possibilità di godere delle opportunità che il nostro Paese offre. Non hanno avuto la possibilità di diventare dottori, musicisti, agricoltori, insegnanti, mariti, padri, figli e figlie”.
In quel processo venne anche stabilito che l’aborto è un diritto che va protetto con la privacy, Trump parte da questo concetto e si domanda: se si tratta di una pratica privata, perché lo stato deve fornire dei sostanziosi finanziamenti ogni anno? Questa domanda serve a far pensare l’elettorato su come parte dei loro contributi vengono versati per una scelta che non rappresenta il loro modo di intendere la vita: “Se prendessimo per vera la parola di quel tribunale, ovvero che l’aborto sia una questione di privacy, dovremmo logicamente concludere che è il denaro privato quello che deve finanziare questa scelta e non il mezzo miliardo di dollari erogato ogni anno dal Congresso federale ai procuratori di aborti”.
Adesso che Trump è stato eletto non solo questa cultura verrà abolita, nessun finanziamento statale per i legali dell’aborto, ma sopratutto verranno eletti giudici della corte suprema pro life, una decisione che invertirà del tutto la tendenza che negli ultimi 43, dopo la sentenza Wade vs Roe, ha dominato negli States.