Oggi ricorre la data di una vicenda molto particolare e inquietante che ha segnato la storia italiana recente e lascia un enigma purtroppo ancora irrisolto.
Il 22 giugno 1983 è infatti una data fondamentale per quanto riguarda quello che è finora passato alla storia come il “Caso Orlandi”, ovvero la scomparsa di Emanuela.
La quindicenne cittadina vaticana, infatti, in quel giorno sparì per sempre nel nulla. Quella vicenda, nonostante si ripresentino continuamente nuovi presunti e dettagli e colpi di scena che però cadono sistematicamente nel vuoto, dimostrandosi più effetti del sensazionalismo mediatico che altro, potrebbe restare per sempre un giallo senza soluzione.
Sono passati ad oggi 38 anni da quella scomparsa, e fare ricostruzioni su quanto avvenne non è di certo cosa semplice. Emanuela era figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, e per questo risiedeva in Vaticano. Quando scomparve, all’età di 15 anni, le circostanze di quel fatto erano assolutamente misteriose.
In un primo momento, si pensava a una ”normale” sparizione di un’adolescente, poi però con il passare di poche settimane la vicenda divenne uno dei casi più oscuri della storia italiana. Dando vita a un intreccio che ha alimentato i più fantasiosi e astratti complottismi, ma che di fatto non è stato ancora districato.
La giovane frequentava una scuola di musica a piazza Santa Apollinare a Roma, che si trovava all’interno del territorio vaticano. In quel drammatico e fatidico giorno uscì dalla lezione dieci minuti prima del previsto, e in quel momento fece una telefonata alla sorella maggiore per riferirle che le era stato proposto un piccolo lavoro di volantinaggio per un’azienda di cosmetici, la Avon.
Il tutto, all’interno di una sfilata di moda pagato esageratamente, per una cifra pari a circa 375.000 lire. La sorella rispose che non avrebbe dovuto prendere in considerazione l’offerta, ma Emanuela stizzita disse che ne avrebbe parlato con i genitori e riattaccò. Si trattò dell’ultimo contatto che ebbe con la famiglia.
In seguito alla telefonata Emanuela incontrò un’amica, che era a sua volta uscita dalla lezione, e si confrontò con lei per parlare di quel lavoro. L’amica la accompagnò alla fermata dell’autobus, ed Emanuela era diretta a casa. Lì arriva la prima testimonianza di un vigile urbano, che dice che la giovane avrebbe parlato con un uomo alla guida di una Bmw nera.
Potrebbe essere che Emanuela sia salita proprio su quell’auto. La famiglia comincia a fare le proprie dolorose e infruttuose ricerche, e a quel punto cominciano a fioccare le telefonate. Ma dall’altro lato della cornetta, purtroppo, ci sono principalmente sciacalli e mitomani.
Il 25 giugno però è la data in cui si apre una pista di grande importanza, che riporta alla telefonata di uomo che si identifica con il nome di ”Pierluigi”, che parla un italiano senza inflessioni dialettali e che riporta che la propria fidanzata avrebbe incontrato due ragazze a Campo dei Fiori.
Una delle quali diceva di chiamarsi Barbara, vendeva cosmetici ed aveva con sé un flauto. Fu lo spiraglio di speranza che si aprì per la famiglia. L’uomo riferì che una delle due ragazze rifiutò di suonare il flauto, dopo che le venne chiesto, perché si sarebbe vergognata degli occhiali che usava per leggere la musica. La famiglia riconosce in lei la figlia, che si era sempre vergognata dei propri occhiali e suonava il flauto.
Ma tre ore dopo, questo tale che si faceva chiamare ”Pierluigi” aggiunse un altro particolare significativo. La ragazza, dice, aveva degli occhiali ”a goccia, per correggere l’astigmatismo’‘. Quando arriva la nuova telefonata, ‘Pierluigi” afferma di avere 16 anni e di trovarsi in un ristorante di una località marina, dove ”Barbara” avrebbe dovuto suonare il flauto, in occasione del matrimonio della sorella.
Lo zio di Emanuela gli chiede un appuntamento in Vaticano, ma lui rifiuta e non offre ulteriori elementi per rintracciare la ragazza. Due giorni dopo arriva la telefonata di un’altra persona, un tale Mario, che sostiene di avere 35 anni e di avere visto queste due ragazze che vendevano cosmetici, e che una delle due gli disse di chiamarsi ”Barbara” e di essere originaria di Venezia.
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A quel punto cominciano le domande. Tutti si chiedono se quella ragazza potesse essere Emanuela, se i due testimoni si conoscono, se stanno dicendo la verità, se si conoscono, se sono dei millantatori o che altro. Per i genitori è un vero dramma e i dubbi si sovrappongono sempre di più, e senza ricevere alcuna risposta. Tale Mario, infatti, afferma che ”Barbara” gli avrebbe raccontato di essere fuggita volontariamente da casa.
I genitori però reputano questa vicenda ben poco plausibile. Si comincia a credere che questi due siano sciacalli, che mentono, ma si fa strada anche l’idea che possano essere delle pedine manovrate da altri. Non sono però di certo comuni rapitori, che al limite avrebbero interesse per ottenere un riscatto.
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Pochi giorni dopo, il 5 luglio, in sala stampa vaticana squilla un telefono e arriva una strana conversazione. A chiamare è un uomo dallo spiccato accento straniero, che si fa chiamare ”l’Amerikano” e che, in riferimento al caso di Emanuela Orlandi, auspica l’intervento di Giovanni Paolo II chiamando in causa nientemeno che Mehmet Ali Agca, l’uomo che aveva sparato al Pontefice in Piazza San Pietro un paio di anni prima.
La richiesta è che l’uomo venga liberato entro il 20 luglio. Sempre questo ignoto personaggio afferma di tenere in ostaggio Emanuela Orlandi, e che gli altri due che hanno parlato pubblicamente, Pierluigi e Mario, sono membri della sua organizzazione. Vyole una linea diretta con il Vaticano, e solamente un’ora dopo l’uomo chiama a casa Orlandi, facendo ascoltare ai genitori una registrazione con una voce di ragazza che potrebbe essere di Emanuela. Ma che potrebbe anche non esserlo, o al limite essere stata realizzata prima della scomparsa della ragazza.
L’uomo insiste perché Wojtyla si muova per la liberazione di Ali Agca, ma il Papa non ha alcun potere sull’autorità giudiziaria italiana, ed è quest’ultima che deve liberare il killer turco. Il nastro che viene fatto ritrovare successivamente, il 17 luglio, conferma la richiesta di scambio della giovane con Agca, e in questo si sente la voce di una ragazza che implora aiuto, dicendo di sentirsi male.
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Pochi giorni dopo, ”l’Amerikano” chiese allo zio di Emanuela di rendere pubblico il messaggio contenuto sul nastro, compresa la richiesta di un incontro in Vaticano, e le chiamate saranno in tutto sedici, realizzate da cabine telefoniche. Ma nonostante le richieste, nessuna pista risulta plausibile e il caso resta ancora oggi un mistero della recente storia italiana, a cui anche le recenti indagini non hanno mai trovato alcuna risoluzione. E che forse non ne troveranno mai.
Giovanni Bernardi
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