C’è profonda delusione nella Comunità di Bose dopo l’ultima triste notizia legata al rifiuto del suo fondatore, padre Enzo Bianchi.
Pare infatti che il fondatore della Comunità si sia rifiutato di trasferirsi da Bose, in Piemonte, alla Toscana secondo quanto chiesto esplicitamente dalla Santa sede dopo la richiesta da parte della Comunità attualmente guidata dal nuovo Priore, Luciano Manicardi.
Il trasferimento di Bianchi da Bose a Cellole era stato chiesto dal delegato del Papa, padre Amedeo Cencini, e avrebbe dovuto realizzarsi prima dell’inizio della Quaresima. Ma così evidentemente non è stato. Ora i rischi sono molti, sia per l’ex priore Bianchi che per l’intera comunità.
Padre Enzo Bianchi infatti ha deciso, con tutta evidenza di sua spontanea volontà, di non trasferirsi a Cellole di San Gimignano, la comunità in diocesi di Volterra e provincia di Siena dove era stato indirizzato dal Vaticano in seguito a una scelta presa in accordo con la Comunità.
La delegazione composta da tre visitatori apostolici, l’abate Guillermo Leon Arboleda Tamayo, M. Anne Emmanuelle Devéche, abbadessa di Blauvac e padre Cencini, ha dimorato a Bose nel periodo tra il 6 dicembre 2019 e il 6 gennaio 2020, in risposta all’appello giunto da Bose in seguito alle dure tensioni interne.
In quei giorni gli inviati papali si sono messi in ascolto di tutti, tanto del fondatore quanto del nuovo priore e di tutti i membri della comunità. Hanno poi raccolto uno per uno le loro opinioni su quanto stava accadendo, sui motivi dell’aspra lacerazione che si era venuta a creare. In quella occasione hanno anche avuto modo di mettere in fila tutti quegli episodi che non sono noti a tutti e che fino a quel momento non erano mai venuti alla luce.
Così si è arrivati al “decreto singolare” firmato dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, lo scorso 13 maggio, “approvato in forma specifica” da papa Francesco. Questo significa che la decisione stabilita dal Pontefice non è appellabile. In questa si è disposo il ritiro di Enzo Bianchi dalla comunità, all’epoca entro il 21 maggio.
Da allora sono trascorsi nove mesi, e Bianchi è ancora a Bose. Nei giorni scorsi la Comunità ha espresso ancora “profonda delusione” per lo stato di “tensione” e “sofferenza”. A cui ha fatto seguito la nuova ingiunzione della Santa sede, nuovamente evasa dall’ex priore Bianchi. Ora, in seguito a quello che è un grave fatto, si attende la decisione della Segreteria di Stato.
“Con profonda amarezza la Comunità ha dovuto prendere atto che fratel Enzo non si è recato a Cellole nei tempi indicatigli dal decreto del delegato pontificio dello scorso 4 gennaio”, scrive la comunità in una nota. La soluzione era infatti stata messa a punto in questi mesi con l’assenso ribadito per iscritto dallo stesso fratel Enzo, insieme agli altri fratelli e sorelle disposti a seguirlo per fornirgli tutta l’assistenza necessaria.
Tanto che la Comunità aveva dovuto rinunciare alla sua Fraternità di Cellole affinché fosse rispettata l’indicazione del decreto che prevedeva l’allontanamento di Fratel Enzo dalla Comunità di Bose. Da settimane a Cellole erano già presenti i fratelli che lo attendevano e che avevano dato la propria disponibilità per predisporre al meglio il suo arrivo.
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Bianchi però non ha accolto questa mano tesa di aiuto. Ora la Fraternità di Cellole dovrà essere fatta ripartire, con tutti i relativi oneri. “La presenza di Bose in quel luogo, infatti, è un impegno nei confronti della diocesi e una responsabilità morale verso le tante persone che là avevano trovato un alimento per la loro vita spirituale e umana.
Impegno e responsabilità che sono stati abbondantemente ricompensati dal grande dono dell’amicizia e della comunione fraterna”, scrive la comunità in una nota pubblicata sul sito, dove da mesi si possono leggere lunghe riflessioni su quanto capitato. E dove nel frattempo sono anche stati eliminate tutte quelle di padre Enzo Bianchi, compresi i commenti al Vangelo e tutti i suoi scritti.
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Tra le considerazioni della comunità guidata ora da padre Manicardi, c’è anche la richiesta di perdono “per aver dato scandalo”. Stavolta si è invece parlato di un “cammino esigente e doloroso di rilettura della vicenda comunitaria, di presa di coscienza delle ferite e delle sofferenze”. Ed è stato anche ribadito che “l’incapacità a vivere con serenità la prova che stiamo attraversando, dando così scandalo ai più piccoli e manifestando tutta la nostra inadeguatezza come discepoli del Signore”.
Insomma, la guerra avviata ormai da mesi pare che stia volgendo al punto nevralgico. Secondo alcuni, questo potrebbe essere il segno della morte della comunità di Bose. Sarà davvero così? Non è facile immaginarlo. Secondo alcune fonti, pare che Papa Francesco si è detto disponibile a trovare una soluzione alternativa. Sicuramente questa comunità innovativa dal punto di vista della pastorale, ma per alcuni anche controversa dal punto di vista dell’ortodossia, ha ricevuto una forte scossa. Chissà se ne uscirà sana e salva.
Giovanni Bernardi
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