Un nuovo triste passaggio si è consumato per la Comunità fondata dal monaco. Si tratta forse dell’ultimo?
Un decreto del delegato pontificio, padre Amedeo Cencini, è categorico e non lascia spazio a repliche di alcun tipo. Fratel Enzo Bianchi ha una settimana di tempo per lasciare la comunità di Bose e trasferirsi a Cellole di San Gimignano, provincia di Siena. Lì lo aspetta un’antica canonica che era già stata trasformata alcuni anni fa nella sede toscana della stessa Comunità di Bose.
Tuttavia il precedente decreto pontificio era stato altrettanto chiaro, e obbligava l’ex priore a trasferirsi fuori dalla stessa Comunità. Per questa ragione, Cellole perde qualsiasi connotazione monastica. Bianchi la otterrà in comodato d’uso, e vi andrà a vivere insieme ad altri tre o quattro confratelli. Questi ultimi continueranno a essere considerati monaci ma “extra domum”.
Il provvedimento è quindi, con tutta evidenza, molto pesante. Tuttavia la Segreteria di Stato Vaticana lo ha ritenuto purtroppo inevitabile. All’interno della comunità infatti da tempo si è registrata una spaccatura che sembra del tutto insanabile tra Bianchi, che ha dalla sua un ristretto gruppo di “fedelissimi”, e tutto il resto della Comunità. Vale a dire circa una ottantina di monaci, gli stessi che si sono rivolti alla Santa sede per manifestare il loro bisogno di ausilio nella risoluzione di questa complicata e triste controversia.
Per lo storico Alberto Melloni, da parte del delegato Pontificio “l’accusa era che il fondatore, pur dimessosi da priore, aveva continuato ad esercitare un potere ai danni del successore, vivendo sopra la Regola”. Padre Cencini infatti, ha spiegato lo storico, ha deciso di applicare il suo pensiero “sulle nuove forme di vita consacrata”, “affette a suo giudizio dal complesso del fondatore — che con la sua forte personalità attira i deboli e su di essi esercita un abuso (almeno) psicologico — esse devono fare un percorso terapeutico di oggettivazione del carisma, che suppone la liquidazione del padre”.
Da qui la decisione di “esiliare il fondatore, allontanarne gli intimi, lasciar uscire molti altri, far affiorare i traumi dei restanti e curarli”. Ci sono stati tentativi poi di ricomporre la frattura, purtroppo però rimasti inevasi. Gli inviti al dialogo sono infatti risultati tutti inutili, così c’è stata la necessità di compiere un passo formale con il quale imprimere una svolta chiara e decisa a quello che era un vero e proprio stallo.
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I visitatori apostolici hanno ascoltato a lungo il fondatore Bose, il nuovo priore e tutti i membri della comunità, spesso per giornate intere. Alla fine delle quali è arrivato il primo decreto della Santa Sede, lo scorso 13 maggio, in cui veniva esplicitato l’allontanamento di Enzo Bianchi e di altri tre confratelli. L’ex priore ha subito affermato di accogliere la decisione con sofferenza, dicendosi disponibile a trovare un accordo.
Purtroppo, però, dopo situazioni al limite dell’ambiguità, dopo otto mesi sembrava essere tutto immutato. Bianchi continuava a risiedere nel suo eremo personale all’interno di Bose, a pochi mesi da quello precedente, senza però intrattenere rapporti con il resto della comunità. Il clima che si respira è quindi pesante, e vige un senso di forte frustrazione e delusione.
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Così è arrivato l’ultimo decreto in cui si mettono in luce “gravi motivi comunicati ai diretti interessati in via riservata”. “Crediamo che la risposta non la si possa trovare nell’attribuire colpe e responsabilità agli uni o agli altri, bensì nella lucida constatazione che non siamo migliori e che il Divisore non ci ha risparmiato e noi non abbiamo saputo fronteggiarlo con sufficiente fede, speranza e carità”, scriveva la comunità prima dell’allontanamento del suo fondatore.
Secondo i quali la situazione di Bose era già “seriamente compromessa, vedendo la profonda sofferenza quotidiana, lo sconforto e la demotivazione suscitati in molti fratelli e sorelle”. Ora bisognerà vedere come si comporterà nelle prossime settimane Enzo Bianchi, che rischia, a questo punto, se si rifiuterà di ottemperare anche questa nuova disposizione, le dimissioni dallo stato di vita monastica con decisione inappellabile del Papa. Anche perché in gioco c’è il futuro della stessa comunità monastica.
Giovanni Bernardi
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