In questi giorni risuona forte la notizia della sospensione delle Messe pubbliche. facciamo un salto nella storia e vediamo come i Santi reagirono alle difficoltà causate dall’epidemia.
Non solo i decreti attraverso cui si è deciso di interrompere lo svolgimento delle Sante Messe, quali luogo di aggregazione, ma anche i comunicati vescovili che lasciano a desiderare sul piano del richiamo alla preghiera, fanno riflettere sul problema che stiamo vivendo. La necessità di affidarci a Dio ci viene insegnata dai grandi esempi di Santità del passato, dai più remoti (San Gregorio Magno) a quelli più recenti (San Giovanni Bosco). Questi ultimi, che hanno pur vissuto momenti di panico collettivo, hanno sempre esclamato, l’importanza di affidarsi a Dio e alla preghiera.
Facciamo un tuffo nel Medioevo. Siamo negli ultimi anni del VI secolo e l’Italia fu attraversata da un’epidemia di peste che stava devastando il Paese. Il neoeletto Pontefice, colui che passò alla storia come San Gregorio Magno, dapprima esortò i fedeli alla penitenza, ma, subito dopo, organizzò tre giorni di solenni processioni verso la Basilica di Santa Maria Maggiore. Nonostante la mortalità (anche durante la preghiera), il Santo Papa esortò i fedeli e, quando l’Arcangelo Michele gli apparse in Ponte Sant’Angelo, egli lo vide rimettere la spada nel foro. Quello fu il segno della fine della peste.
Quella di cui andiamo a parlare è la famosa peste bubbonica del 1656, un’epidemia che fece, solo nel Regno di Napoli, circa 400.000 morti. L’epidemia giunse in poco tempo nel Gargano, dove l’allora Vescovo Puccinelli, iniziò a chiedere l’intercessione dell’Arcangelo Michele. L’Arcangelo gli apparve e gli disse che se le pietre del suo Santuario (sul Gargano) fossero state devotamente usate, avrebbe liberato il Paese dalla pestilenza. È ciò che avvenne quando il Vescovo fece utilizzare le pietre per scolpire una croce con le iniziali di San Michele. Il territorio di Manfredonia rimase immune dal morbo.
Rimaniamo tra il Cinque e Seicento, quando scoppiò una terribile pestilenza, passata alla storia come “peste di San Carlo”. Si trattò di un’epidemia che colpì principalmente il territorio milanese. Quando scoppiò la peste, il Santo Vescovo era fuori dalla città, ma si affrettò a rientrarvi, mettendo lui stesso a disposizione i suoi beni per gli ammalati. Esortando alla preghiera e all’affidamento in Gesù, San Carlo spesso si recava personalmente nelle case dei fedeli, portando sempre un sostegno e una parola di conforto.
La devastante epidemia di colera del 1854 colpì la Torino in cui operava il Santo dei giovani, San Giovanni Bosco, grande esempio di affidamento alla preghiera e a Dio, nei momenti di difficoltà. San Giovanni Bosco, preoccupandosi in primo luogo dei giovani dell’Oratorio, pregò molto e li assicurò che se essi si fossero messi in grazia di Dio, senza commettere alcun peccato mortale, non avrebbero contratto il morbo. Il Santo chiese inoltre la loro disponibilità di volontariato nelle case degli ammalati. Molti lo seguirono, tra cui il giovane Santo Domenico Savio, senza contrarre il morbo.
Fabio Amicosante
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