Durante l’omelia per la solennità Francesco indica cosa vuol dire vivere senza rimpianti. Poi, durante l’Angelus, ricorda uno storico evento.
I Magi “sono immagine dei popoli in cammino alla ricerca di Dio. Il pellegrinaggio umano di ognuno di noi dalla lontananza alla vicinanza”. Essi hanno “gli occhi puntati verso il cielo, i piedi in cammino sulla terra, il cuore prostrato in adorazione”. Così si è espresso papa Francesco durante l’omelia nella Solennità dell’Epifania, l’undicesima celebrata nella basilica di San Pietro, dall’inizio del suo pontificato.
Il rischio di non varcare il “perimetro delle cose terrene”
Sempre descrivendo i Magi, il Santo Padre si è soffermato sui loro “occhi puntati verso il cielo”, sulla loro “nostalgia dell’infinito” e sul loro sguardo “attratto dagli astri celesti”. I Magi, ha aggiunto, “non vivono guardando la punta dei loro piedi, ripiegati su sé stessi, prigionieri di un orizzonte terreno, trascinandosi nella rassegnazione o nella lamentela”; piuttosto “alzano il capo, per attendere una luce che illumini il senso della loro vita, una salvezza che viene dall’alto”.
Dopo aver visto spuntare la stella “più luminosa di tutte”, i Magi si mettono in cammino. “È questa la chiave che dischiude il significato vero della nostra esistenza: se viviamo rinchiusi nel ristretto perimetro delle cose terrene, se marciamo a testa bassa ostaggi dei nostri fallimenti e dei nostri rimpianti – ha proseguito il Pontefice – se siamo affamati di beni e consolazioni mondane che oggi ci sono e domani no invece che cercatori di luce e di amore, la nostra vita si spegne”.
Sull’esempio dei Magi, tutti noi “abbiamo bisogno di aver lo sguardo rivolto verso l’alto anche per imparare a vedere la realtà dall’alto – ha sottolineato il Papa –. Ne abbiamo bisogno nel cammino della vita, per farci accompagnare dall’amicizia con il Signore, dal suo amore che ci sostiene, dalla luce della sua Parola che ci guida come stella nella notte”.
“Ne abbiamo bisogno – ha detto ancora Bergoglio – per abbandonare le ideologie ecclesiastiche, per trovare il senso della Santa Madre Chiesa, l’habitus ecclesiale. Ideologie ecclesiastiche, no; vocazione ecclesiale, sì. Il Signore, e non le nostre idee o i nostri progetti, dev’essere al centro”.
I Magi, maestri di speranza
Al tempo stesso, “l’astro che brilla nel cielo ci rimanda a percorrere le strade della terra”. Pertanto, i Magi “alzando il capo verso l’alto sono sospinti a scendere in basso; cercando Dio sono inviati a trovarlo nell’uomo, in un Bambino che giace in una mangiatoia, perché Dio che è l’infinitamente grande si è svelato in questo piccolo, infinitamente piccolo”.
Secondo Francesco, “ci vuole saggezza per capire la grandezza e la piccolezza di Dio”. La luce di Gesù, infatti, “non ci è data solo per essere consolati nelle nostre notti, ma per aprire squarci di luce nelle tenebre fitte che avvolgono tante situazioni sociali; il Dio che viene a visitarci non lo troviamo restando fermi in qualche bella teoria religiosa, ma solo mettendoci in cammino, cercando i segni della sua presenza nelle realtà di ogni giorno e, soprattutto, incontrando e toccando la carne dei fedeli”.
Citando l’omelia di papa Benedetto XVI per l’Epifania del 2008, Bergoglio ha detto: “Se manca la vera speranza, si cerca la felicità nell’ebbrezza, nel superfluo, negli eccessi, e si rovina se stessi e il mondo”. Alla luce di ciò, Ratzinger elogiò “il coraggio dei Magi, che intrapresero un lungo viaggio seguendo una stella, e che seppero inginocchiarsi davanti a un Bambino e offrirgli i loro doni preziosi”.
Caratteristica dei Magi è anche il loro “cuore prostrato in adorazione”. Essi “guardano la stella nel cielo, ma non si rifugiano in una devozione staccata dalla terra; si mettono in viaggio, ma non vagano come turisti senza meta. Un re che è venuto a servirci, un Dio che si è fatto uomo. Dinanzi a questo mistero, siamo chiamati a piegare il cuore e le ginocchia per adorare: adorare il Dio che viene nella piccolezza, che abita la normalità delle nostre case, che muore per amore”.
Ecumenismo e pace nella preghiera del Pontefice
Più tardi, dopo la recita dell’Angelus, Francesco ha ricordato il 60° anniversario di uno storico evento: il 6 gennaio 1964, a Gerusalemme tra San Paolo VI e il patriarca ecumenico Atenagora si incontravano, “rompendo un muro di incomunicabilità che per secolo aveva tenuto lontani cattolici e ortodossi”.
“Impariamo dall’abbraccio di questi due grandi della Chiesa”, ha aggiunto il Santo Padre, “e andiamo avanti sulla strada dell’unità dei cristiani, pregando insieme, camminando insieme, lavorando insieme”.
Poi, con la mente ancora rivolta allo “storico gesto” di 60 anni fa, ancora una preghiera “per la pace in Medio Oriente, in Palestina, in Israele, in Ucraina, in tutto il mondo. Tante vittime delle guerre, tanti morti, tanta distruzione… preghiamo per la pace!”, ha ribadito.
Il Pontefice ha quindi espresso vicinanza “al popolo iraniano, in particolare ai familiari delle numerose vittime dell’attacco terroristico a Kerman, ai tanti feriti e a tutti coloro che sono colpiti da questo grande dolore”.