Ritorna al centro di un acceso dibattito il tema del fine vita, che accende gli animi in diversi Paesi, ma l’Italia che cosa sta facendo?
In questo caso si parla dei progetti di legge sull’eutanasia in Gran Bretagna e nel Queensland, contro cui si sono levate forte voci da parte del mondo cattolico. In primis, è arrivato l’appello della Conferenza episcopale inglese di maggio, poi gli interventi dei vescovi Davies e McKinney e infine quello di mons. Coleridge in Australia.
Quest’ultimo in particolare ha chiesto di “fare tutto il possibile” per proteggere le vite fragili. In Gran Bretagna, solamente lo scorso 26 agosto numerose associazioni pro-vita hanno chiesto ai fedeli cattolici britannici di rivolgersi ai propri parlamentari per opporsi alla proposta di legge sull’eutanasia che è stata avanzata di recente dalla baronessa Molly Meacher e che ora aspetta di essere discussa.
La richiesta è quella di ascoltare il forte messaggio dei vescovi inglesi del maggio scorso, in cui si denunciava la “falsa compassione” della nuova legge stravolgendo la relazione tra medico e paziente. Il medico, infatti, passerebbe dal curare il proprio paziente ad assisterlo nella propria morte: un cambio non di poco conto.
“La Chiesa cattolica rimane contraria a qualsiasi forma di suicidio assistito”, hanno spiegato chiaramente i religiosi, invitando tutti i fedeli a scrivere “ai membri della Camera dei Lord o dei Comuni” chiedendo di opporsi al disegno di legge, passato in prima lettura alla Camera dei Lord il 26 maggio e che verrà discusso in seconda lettura nelle prossime settimane.
Con questo si punta ad autorizzare i medici a fornire farmaci letali, su richiesta, ai malati terminali in modo che possano suicidarsi. Al momento attuale, si tratta di un’istigazione al suicidio punibile con una pena fino a 14 anni di carcere. L’unica limitazione sarebbe quella legata alla persone malate terminali, con prognosi di sei mesi di vita rimanente, e che hanno capacità mentale.
Sono poi altri due i vescovi che di recente hanno alzato la voce contro l’eutanasia e per ribadire il pensiero cattolico e il dovere dei cattolici di fronte a questo dramma e alla deriva sociale e culturale che si intende intraprendere. Si tratta del vescovo di Shrewsbury, Mark Davies, che ha affermato che “ora è il momento di alzare la voce”, in quanto “ognuno di noi ha una voce e forse anche una storia da condividere con coloro che ci rappresentano”.
C’è poi il vescovo di Nottingham, Patrick McKinney, che ha pubblicato un video in cui ricorda che la proibizione del suicidio assistito “è il modo più sicuro per proteggere coloro che sono vicini alla fine della loro vita da abusi, coercizioni o, addirittura, pressioni interne per scegliere la morte assistita per paura di gravare sui loro cari”.
“Sarebbe anche ingenuo credere che, una volta divenuta legge, le richieste per il suicidio assistito sarebbero semplicemente limitate a coloro che sono malati terminali – ha affermato il religioso -, inevitabilmente dovrebbe essere permesso anche a coloro che hanno anni di sofferenza davanti a loro, a causa di malattie croniche o disabilità”.
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Una situazione analoga è quella che sta vivendo l’Australia, dove nello stato del Queensland dal maggio scorso si discute sulla legge che prevede che i residenti del Queensland dai 18 anni in su hanno il diritto di chiedere il suicidio assistito se hanno ricevuto una diagnosi con un’aspettativa di 12 mesi (o meno) di vita o nel caso in cui stiano sopportando una sofferenza che considerano “intollerabile”.
Il mondo pro-life australiano non ci sta e per il prossimo 11 settembre, pochi giorni prima del dibattito finale in Parlamento, ha organizzato una grande manifestazione nella capitale Brisbane. Anche l’arcivescovo di Brisbane, Mark Coleridge, ha invitato tutti i cattolici con un videomessaggio a firmare una petizione contro l’approvazione della legge.
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“Dobbiamo fare tutto il possibile per proteggere gli abitanti del Queensland piuttosto che assisterli nella morte”, ha affermato, dopo che 19 medici, ex presidenti dell’Associazione Medica Australiana del Queensland, con una lettera rivolta ai legislatori hanno parlato dei “rischi inaccettabili” che i pazienti correrebbero.
Lo stesso era accaduto infine lo scorso novembre in Canada, con il fortissimo atto di accusa firmato dall’arcivescovo Peter Gagnon di Winnipeg, presidente della Conferenza Episcopale Canadese, a nome di tutti i vescovi. I vescovi si chiedevano come possono governi incapaci di fronteggiare la pandemia solamente pensare, ora, di potersi occupare di eutanasia?
“con questa realtà, come può il governo federale in buona coscienza espandere la possibilità per eutanasia e suicidio assistito quando la nostra nazione è ancora incapace di offrire cura umana base che rispetti la dignità dei vecchi e dei moribondi?”, è stata la domanda dei religiosi, giunta dopo la dichiarazione congiunta di 900 medici, della lettera aperta al Parlamento di 140 avvocati contro il suicidio assistito, e della richiesta al Governo di una moratoria da parte del rapporto annuale dell’ufficio dell’Investigatore di Correzione.
Si aspetta perciò che di fronte al ritorno della discussione anche in Italia, con il referendum sull’eutanasia promosso dai radicali e sbandierato da giorni su molti media con l’appoggio di influencer e personaggi vari, lo stesso accada presto con le voci di vescovi italiani che non vogliono e non possono stare in silenzio di fronte alla deriva di una cultura che ha lasciato in secondo piano il valore sacro e indisponibile della vita e dell’essere umano.
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L’appello del cardinale Bassetti delle scorse settimane è un atto assolutamente dovuto e positivo e ora ci si attende che nella prossime settimane il numero e l’intensità delle voci cattoliche contrarie all’eutanasia aumenti e si faccia sentire.-
Giovanni Bernardi
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