Il capofila dei “nuovi atei” spiazza tutti e rivela di non mettere sullo stesso piano cristianesimo e islam. Ecco i perché delle sue parole.
In Italia conosciamo poco i “nuovi atei”, quei pensatori antireligiosi che ebbero un notevole successo nei primi anni Duemila all’indomani dei tremendi attentati dell’11 Settembre. Polemisti brillanti ma superficiali, i nuovi atei cavalcarono soprattutto gli umori di giovani impauriti dalla ferocia islamista, finendo per declinare rapidamente come erano ascesi.
Per avere un esempio dello stile del nuovo ateismo pensiamo a epigoni italiani di quelli che divennero noti come i “quattro cavalieri del nuovo ateismo” (Christopher Hitchens, Richard Dawkins, Sam Harris e Daniel Dennett). Per essere più chiari, mi riferisco a personaggi come Piergiorgio Odifreddi e Alessandro Cecchi Paone. Ospiti abituali dei salotti televisivi, amano punzecchiare i credenti a suon di provocazioni che però parlano più alla pancia che non alla mente del pubblico a casa.
Facilitati dalla diffusione dei social media, i nuovi atei divennero figure popolari nella cultura di massa dell’anglosfera. Malgrado l’emotivismo di fondo, la sfida lanciata dal nuovo ateismo ebbe anche una funzione positiva: costringere i credenti ad approfondire le ragioni della propria fede in risposta alle critiche. Ma in fin dei conti questi propagandisti dell’ateismo non fecero che alimentare la rabbia contro la religione, da loro bollata senza distinzioni come irrazionale e dunque matrice di superstizione, violenza e fanatismo.
Nulla di particolarmente originale rispetto alle polemiche dei vecchi atei – gli illuministi settecenteschi alla Voltaire o alla Thomas Jefferson, per intenderci. I nuovi atei però si sono rivelati decisamente più animosi dei loro predecessori (anche più recenti, come Bertrand Russell), più a loro agio nel tentativo di ridicolizzare le religioni che con le argomentazioni serie e profonde.
Quando anche gli atei riconoscono che cristianesimo e islam non sono la stessa cosa
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. E adesso proprio uno dei principali esponenti del nuovo ateismo, il famoso biologo britannico Richard Dawkins (autore del bestseller L’illusione di Dio) qualche distinzione ha cominciato a farla. L’ormai 83enne Dawkins ha infatti dichiarato in una recente intervista di identificarsi come un «cristiano culturale» e di preferire il cristianesimo all’islam.
Non è la prima volta che il celebre scienziato confessa di vedere nel cristianesimo un baluardo di fronte all’islam. Dawkins ha tenuto però a puntualizzare di non essersi convertito. No, per lo scienziato nato nel 1941 a Nairobi il cristianesimo resta un fatto culturale, un patrimonio valoriale del mondo occidentale. Non di più per lui che non si ritiene un «cristiano credente» visto che dice di non credere «a una parola» della fede cristiana.
«Amo gli inni e i canti natalizi e in un certo senso mi sento a casa nell’ethos cristiano, e sento che in questo senso siamo un Paese cristiano». Dawkins ha pronunciato queste parole durante un’intervista con Rachel Johnson trasmessa il 31 marzo su LBC. In quella occasione ha anche detto di essere «leggermente inorridito» davanti alla notizia che la Oxford Street londinese – una delle più famose strade commerciali del mondo con i suoi oltre trecento punti vendita – stava promuovendo il Ramadan, il mese del digiuno musulmano, in luogo della Pasqua.
Alla domanda se considerasse un problema il calo della frequenza in chiesa e la costruzione di circa 6.000 moschee (e molte altre sono in fase di pianificazione), Dawkins ha risposto: «Sì, davvero. Devo scegliere attentamente le mie parole: se dovessi scegliere tra cristianesimo e islam, sceglierei ogni volta il cristianesimo». Dawkins è giunto a una conclusione chiara: il cristianesimo promuove una società più tollerante e meno ostile soprattutto nei confronti delle donne e degli omosessuali, avversati invece dai libri sacri dell’islam.
Anche in questo caso niente di particolarmente nuovo. Sono le idee portate avanti anche da noi dai cosiddetti “atei devoti” (detti anche “cristianisti”). Ossia gli intellettuali che rifiutano la divinità di Cristo ma apprezzano i benefici della società cristiana. Nulla di più vero del resto: l’ateismo paradossalmente può trovare spazio solo in seno a una civiltà in cui scorre la linfa cristiana. La casa dei cristiani è larga e ospitale al punto di accogliere anche gli atei.
Anche l’ateismo non è la stessa cosa per cristianesimo e islam
Per i cristiani – spiega Vittorio Messori nel suo famoso Ipotesi su Gesù – Dio non è evidente come può esserlo un fatto indubitabile, che richiede solo di essere constatato. Meno che meno la fede nel Dio biblico è paragonabile all’esito di un ragionamento logico o di un calcolo tipo 2 + 2 = 4. Messori ricorda invece che per l’islamismo Allah «è il sole che splende nel cielo a mezzogiorno». Motivo per cui, continua l’intervistatore di due papi, «per il musulmano, l’ateismo è un fenomeno incomprensibile. Anzi, addirittura inconcepibile. Come soltanto il pazzo può negare che il sole dardeggia sul deserto, così soltanto chi non sia sano d’intelletto può mettere in discussione l’evidenza stessa: l’esistenza nei cieli di Allah».
Il Dio cristiano, lo stesso dell’Antico Testamento, dice invece di sé: «Io abito nella caligine» (1 Re 8, 12). Pascal dirà che è un Dio nascosto, il quale «ha messo nel mondo abbastanza luce per chi vuole credere e ha anche lasciato abbastanza ombre per chi non vuole credere». Il Creatore lascia all’uomo la libertà di amarlo o meno, non vuole forzare la libertà della sua creatura. Il problema a questo punto è un altro: ha senso stimare i frutti dell’albero cristiano rinnegando le radici di quello stesso albero? Si possono volere i “valori cristiani” e rifiutare al tempo stesso Cristo? Rémi Brague, il filosofo che ha coniato la parola “cristianista”, sottolinea che si è cristiani per grazia. E in forza di un rapporto personale con Cristo, non con un sistema di “valori”.
«La civiltà dell’Europa cristiana – insiste Brague – è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a persone che credevano nel cristianesimo». Santi come Benedetto a Francesco hanno cercato prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia. Il resto gli è stato dato in sovrappiù. La civiltà dei monasteri nata con San Benedetto da Norcia è un frutto della fede del santo in Cristo Gesù, non il fine della sua azione.
C’è poco da fare: quella che abbiamo conosciuto col nome di civiltà cristiana, prosegue il filosofo francese, «non è altro che l’insieme degli effetti collaterali che la fede in Cristo ha prodotto sulle civiltà che si trovavano sul suo cammino». Avere fede, ha detto da qualche parte il grande cardinale Biffi, è vedere la realtà con gli occhi del Risorto. Tutti i rapporti umani – familiari, politici, lavorativi, sociali – perciò sono “cristificati” e riconsiderati alla luce del fatto cristiano.
Cristo libera gli uomini da ogni catena
Certo: anche i cristiani nel corso dei secoli hanno tradito Cristo quando hanno preteso di difendere la verità – profanandola – col veleno dell’intolleranza. Ma San Giovanni Paolo II ha fatto giustizia una volta per tutte dell’angelo tentatore della cristianità: abbracciare lo scudo e la spada di Cesare invece che la croce di Cristo. Ciò non toglie che ovunque Cristo abbia regnato veramente, la sua presenza liberante ha affrancato gli uomini dalle catene delle tante schiavitù che li opprimevano.
Il nuovo ateismo è la forma appena poco più argomentata della celebre Imagine di John Lennon, la canzone pop con cui il frontman dei Beatles auspicava la nascita di una società fraterna senza Dio. Lennon era convinto che la fraternità degli uomini potesse magicamente sorgere da un mondo senza più religioni: da un mondo cioè che avesse rinunciato a inseguire strane “illusioni” come quella del paradiso.
Tuttavia, questa utopia di una fratellanza senza Dio era destinata a scontrarsi contro un ostacolo insormontabile, avverte l’acuto vescovo Robert Barron. Ovvero il fatto che un mondo senza un Padre comune può conoscere un solo tipo di “fraternità”. Quella delle artiglierie, dove gli esseri umani si avvicinano sì tra di loro, ma solo per spararsi più da vicino. Un po’ come succede nel nostro mondo, che sta abbandonando la luce cristiana per ritornare alla tenebra del paganesimo.
Lasciati a sé stessi, senza la grazia di Cristo, gli uomini si riducono a animali competitivi che gareggiano tra loro per una gloria mondana. Vogliono scrivere il proprio nome nei libri di storia per stabilire chi sia il più grande tra loro. E per trionfare sono disposti a firmare quei libri sui cadaveri accatastati dei loro nemici. Senza la luce di Cristo, ovunque impera la brutale legge della forza. Solo incontrando Cristo, solo cercando la gloria divina possiamo scoprire la legge dell’amore e essere davvero “fratelli tutti”. Per scrivere il nostro nome nell’unico libro che conti: il libro della vita eterna.