“Mi hanno legata al letto e hanno ucciso il mio bambino”, così “tuonava” uno dei messaggi che Farah lanciava su WhatsApp.
Lei ha 18 anni e viveva a Verona, finché la famiglia, di origini pakistane, non l’ha riportata in Patria e costretta ad abortire, il bambino che avrebbe avuto da un ragazzo italiano.
Su WhatsApp, Farah scriveva alle compagne di classe e al suo ragazzo: “Mi hanno fatto una puntura e hanno ucciso il mio bambino. Mio padre vuole che mi sposi qui”.
Ma Farah ha una vita in Italia, dove frequenta l’ultimo anno di un istituto professionale.
Qualche mese fa, quando rimase incinta, lei e il suo ragazzo, molto responsabilmente, decisero di tenere il bambino e anche di chiedere di antipicare gli esami di maturità, per permettere a Farah di portare a termine sia la gravidanza che gli studi.
Ma i suoi genitori hanno stravolto ogni cosa: l’hanno riportata in Pakistan ed è ancora li!
Ora, il caso è in mano alla Digos e si spera non abbia lo stesso epilogo di altre situazioni analoghe, che, ultimamente, riempiono le pagine di cronaca nera.
La Farnesina ha chiesto conto all’ambasciata italiana a Islamabad, perché prenda urgenti provvedimenti: “Se la vicenda fosse confermata, si tratterebbe di un gravissimo episodio. L’Italia difende con forza e in ogni circostanza il rispetto dei diritti umani e delle libertà e i diritti fondamentali sulla base della parità di uomini e donne”.
Già lo scorso anno, Farah aveva denunciato il padre per maltrattamenti. Si era, poi, trasferita in una casa-famiglia, prendendo parte al Progetto Petra, contro la violenze sulle donne, fino al 9 Gennaio scorso.
Aveva, successivamente, cercato una riconciliazione con la famiglia, in occasione del matrimonio del fratello, che le è stata fatale.
Ora, il padre e il fratello sono tornati a Verona, mente la madre e la sorella sorvegliano Farah: “non c’è nessuna volontà da parte della famiglia di lasciare libera la ragazza alla quale, a quanto ci è stato riferito, sono stati sottratti i documenti ed è costantemente sorvegliata dalla madre e dalla sorella”, dice l’Assessore ai Servizi Sociali della città, Stefano Bertacco.
Antonella Sanicanti
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