In queste settimane siamo invitati a fare un uso massivo di mascherine e dei dispositivi di protezione individuale. Ma come vanno smaltiti?
Secondo l’Istituto superiore di sanità, lo smaltimento dei dpi, ovvero di guanti e mascherine, deve avvenire, dove possibile, attraverso l’incenerimento. Si tratta di quanto stabilito all’interno delle linee guida pubblicate lo scorso 14 marzo. Perciò la breve esistenza degli strumenti con i quali ci difendiamo dal contagio dovrà finire negli inceneritori oppure nei termovalorizzatori, ovvero impianti di incenerimento che sfruttano la combustione per produrre energia.
Ma il percorso per la “termodistruzione” cambia a seconda dell’utilizzo che si fa di guanti e mascherine. Se questo avviene in ambito ospedaliero lo smaltimento sarà diverso rispetto al caso in cui si utilizzano i dpi in ambito domestico. Le casistiche sono sostanzialmente tre. Riguardano cioé: le persone che vengono ricoverate in ospedale. Quelle che sono costrette alla quarantena o all’isolamento domiciliare. E infine quelle che non sono mai risultate positive al coronavirus.
Due società che si occupano dello smaltimento dei rifiuti negli inceneritori, Iren e EcoEridania, hanno spiegato ad Agi che questo tipo di attività non dovrebbe essere fonte di problemi. Nel caso dell’utilizzo nelle abitazioni, oppure nei posti di lavoro in cui non ci sono personae contagiate, l’Istituto superiore di sanità invita a gettare i dpi nel bidone dell’indifferenziata. Chiusi all’interno di due o tre sacchetti resistenti e possibilmente uno dentro l’altro.
Nel caso in cui i dispositivi sono stati usati da persone in quarantena o isolamento domiciliare, risultate quindi positive al coronavirus oppure che sono state in contatto con soggetti positivi, viene proprio sospesa la raccolta differenziata. Tutti i rifiuti in quel caso andranno nell’indifferenziata.
Nel caso in cui invece guanti e mascherine siano stati utilizzati negli ospedali, a quel punto i rifiuti vengono considerati pericolosi e dovranno seguite un percorso di sterilizzazione. Il Politecnico di Torino stima un bisogno, soltanto per quanto riguarda le mascherine chirurgiche, di una cifra pari circa a 80 milioni di pezzi monouso al mese. Se si parla di imprese, il bisogno potrebbe essere moltiplicato per dodici volte rispetto a questo numero. Si parla cioè di circa un miliardo di mascherine al mese.
La società Iren, che ha sede nella periferia di Torino, dispone di una capacità di 500 mila tonnellate all’anno. E spiegano: “la termovalorizzazione è a oggi la soluzione migliore”. Questo perché “il materiale viene incenerito e quindi annientato delle potenziali contaminazioni” e poi “trasformato in energia elettrica”.
Infine, perché l’energia termica prodotta dalla combustione fa funzionare l’impianto di teleriscaldamento”. Nell’arrivo nell’impianto di incenerimento i rifiuti vengono sottoposti a un controllo del valore di radioattività. Soltanto se passano il controllo vengono poi collocati in una fossa profonda decine di metri, e prelevati dai bracci meccanici. Per essere infine smaltiti sulle linee di incenerimento. Lo stesso processo avviene per guanti e mascherine che provengono da uso domestico.
I rifiuti potenzialmente contaminati non sono perciò pericolosi, spiega l’azienda. In quanto sottoposti a un controllo molto rigido. Anche da soggetti esterni, come, in questo caso, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale. Inoltre, nei termovalorizzatori si raggiungono temperature altissime, capaci di azzerare la carica virale degli oggetti.
In questo modo le aziende possono cioè adempiere alle direttive dell’Iss. Le persone dovrebbero trattare guanti e mascherine come rifiuti speciali, visto che ci proteggono dal potenziale rischio biologico. Ma ancor di più gli utilizzatori e le aziende dovrebbero trattarli come rifiuti pericolosi, spiega invece EcoEridania. Secondo l’azienda sarebbe necessario che le persona smaltissero tutti i dpi allo stesso modo.
Una rigida procedura tratta i rifiuti sanitari, pericolosi perché potenzialmente infetti per la loro provenienza. Il personale metterà i rifiuti in sacchi e poi in contenitori. In seguito li raccoglierà e li porterà in impianti dedicati e autorizzati a smaltire questo genere di rifiuti.
In seguito si occuperanno di sterilizzare questi e successivamente di portarli nei forni, cioè nei termovalorizzatori. Una volta avvenuta la bruciatura dei rifiuti, questi produrranno energia immessa nella rete. Ad ogni utilizzo e alla fine del loro ciclo d’uso i responsabili sanificano i contenitori utilizzati per la raccolta, che sono già prodotti nello stesso impianto di fabbricazione. In caso di rottura, l’azienda li tritura e ristampa per consentirne il recupero.
Per cui anche la seconda azienda afferma che non ci sono problemi di ordine ecologico nello smaltimento di questi rifiuti. “Calcolando un peso medio di 4 grammi a mascherina, e che tutte le mascherine avessero un utilizzo monouso (con smaltimento giornaliero e quindi non lavabili), la produzione su base annua di nuovi rifiuti sarebbe di circa 52.000 tonnellate. Tale capacità è ampiamente gestibile all’interno della capacità di smaltimento degli impianti esistenti, anche se tutta la produzione fosse smaltita nel circuito dei rifiuti speciali pericolosi”.
L’azienda aggiunge al numero in questione guanti, copricapo, teli. Per una stima di 50.000 tonnellate di rifiuti. Ma “si possono stimare ulteriori 100.000 tonnellate all’anno di nuovi rifiuti, una quantità trascurabile“, spiegano.
Il vero problema, forse, è rappresentato dalla mancanza di smaltimento dei rifiuti. Ovvero da chi li getta per terra o fuori dall’immondizia, che rappresenta non solo un problema di decoro o di ambiente ma anche un rischio sanitario.
Giovanni Bernardi
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