La commovente storia di un uomo concepito da uno stupro che esalta il coraggio della madre, la quale nonostante le difficoltà ha rifiutato l’aborto e lo ha dato alla luce.
Controcorrente e piena di gratitudine, la storia di Steventhen Holland commuove e mostra come scegliere la vita sia sempre e fuor di dubbio la decisione migliore. I sostenitori dell’aborto hanno sempre messo in rilievo le storie più tragiche e atroci per affermare che l’eliminazione della vita nascente sia una possibilità in sé buona.
Mirando a suscitare emozione e sentimenti di compassione, seppure falsa e malata, i “pro choice”, che sostengono l’aborto come diritto della donna e come soluzione, insistono sui casi più tragici e disperati per affermare le loro tesi. Ma questa storia va a sfatare tutti i miti dell’abortismo.
Steventh Holland adesso è un uomo adulto, fa lo speaker pro life, ha scritto libri ed è un artista musicale. Vive in Alabama con la moglie e le loro tre figlie. L’organizzazione Life Action rende nota la sua storia che lui porta in giro per contrastare l’ideologia di morte che vede l’essere umano come qualcosa che si può anche eliminare.
Concepito da uno stupro nasce per il rifiuto di abortire della mamma disabile
Un insieme di condizioni di difficoltà si sommano nella vita della madre di Steventh. Si chiama Glenda ed è una ragazza con un deficit cognitivo per cui è come se avesse all’incirca 10 – 11 anni sotto il profilo intellettivo. Nata in una famiglia numerosa di cui solo uno dei figli non è affetto da disabilità perde presto i genitori e viene affidata, come gli altri, ad un istituto sociale.
Ha 19 anni quando è vittima di uno stupro da parte di una banda di ragazzi che la aggrediscono mentre è per strada. Lei non rivela a nessuno l’accaduto e nemmeno che è rimasta incinta. Passano i mesi e solo quando la gravidanza ormai è evidente se ne accorgono tutti.
Gli assistenti sociali vogliono farla abortire, ma lei si rifiuta. L’unica opzione che ha per evitare l’aborto è scappare. Fugge e trascorre gli ultimi mesi di gravidanza per strada vivendo di stenti. Quando la colgono le doglie dorme in una scatola di cartone.
Viene soccorsa da una famiglia che la aiuta a partorire. Nasce Steventhen, fortemente gracile e denutrito. Sette giorni dopo viene dato in adozione. Glenda sa di non essere in grado di occuparsi di lui e che quella è la scelta migliore. Il bambino viene subito adottato dalla famiglia Holland che lo cresce con amore.
Alla scoperta delle origini: l’abbraccio inaspettato
Steventhen cresce circondato dal grande amore della sua famiglia adottiva. Scopre di esser stato adottato all’età di 8 anni, e poi, quando è più grande e ormai sposato avverte sempre più il desiderio di conoscere le sue origini.
Vuole sapere chi è la sua madre biologica e perchè lo ha abbandonato. Riesce facilmente a rintracciarla grazie alle informazioni registrate sul suo certificato di nascita. Vuole incontrarla e inizia ad indagare. Riesce a rintracciare per primo il fratello di sua madre fino a che poi ci sarà un incontro inaspettato anche con lei.
All’epoca lui aveva 27 anni e lei 46. La donna viveva in una struttura residenziale per disabili. Insieme allo zio, che per lavoro fa il prestigiatore, si reca da lei. Va in scena lo spettacolo e ad un certo punto Glenda viene a sapere che quel ragazzo è suo figlio. Lui è chiamato a cantare “Amazing grace” e quando per l’emozione si interrompe lei continua la canzone.
L’abbraccio è immortalato dalle telecamere: “Ti amo, figlio mio” dice la donna. “Ti amerò sempre e non ti avrei abbandonato se avessi potuto tenerti” sono state le sue parole. Da lì inizia una relazione con una mamma in condizioni particolari che ha avuto il coraggio di rifiutare la morte e di scegliere la vita.
Gli undici anni successivi, fino alla morte di lei saranno un periodo in cui madre e figlio potranno conoscersi e frequentarsi, trascorrere del tempo insieme. Fortemente credente Holland sostiene che “se non fosse stato per il Signore non credo che tutto questo sarebbe accaduto!“.
E così Steventhen condivide con il mondo la sua storia con l’intento di portare speranza. “Spero e prego che la mia storia serva a salvare altri bambini” afferma quando porta la sua testimonianza. Anche nelle condizioni più difficili ogni vita vale ed è degna di essere vissuta e nessuno ha il diritto di eliminarla.