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Il fisico Steven Weinberg l’infinito narra la Gloria di Dio

 

C’è una frase contenuta nel libro ‘I primi tre minuti’ del celebre fisico e premio nobel (1979) Steven Weinberg che nel corso di questi anni ha suscitato nomerosi ragionamenti ed obbiezioni, egli parlando delle recenti scoperte scientifiche riguardanti la vastità dell’Universo scriveva: “Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo”.

La frase del fisico sottintendeva che la precedente percezione del mondo come pianeta costruito per la vita dell’essere umano da Dio perdeva significato nello scoprire che l’universo è talmente immenso che migliaia, se non milioni, di pianeti come il nostro possono essere esistiti o esistono ancora. Le infinite possibilità di vita che l’immensità dell’universo suggerisce non può non farci chiedere quale sia lo scopo della nostra esistenza, allo stesso modo non può non farci dubitare delle convinzioni che fino a prima delle scoperte scientifiche risultavano granitiche ed incontestabili.

Non si tratterebbe dunque di una critica alle convinzioni religiose quanto piuttosto ad una considerazione nostalgica di quando non si aveva percezione della insignificanza dell’essere umano al cospetto con un universo sconfinato, ed è lo stesso fisico che in un intervista recente conferma questa lettura della sua precedente frase:

“Fui tanto imprudente da osservare che “più l’universo appare comprensibile, più appare senza scopo”. Non volevo dire che la scienza c’insegna che l’universo è senza scopo, ma che l’universo stesso non ci suggerisce nessuno scopo, e subito dopo aggiungevo che noi stessi possiamo inventare uno scopo della vita, magari quello di cercare di capire l’universo. Ma ormai il guaio era fatto, e da allora quella frase mi ha sempre perseguitato. […]. La risposta che mi è piaciuta di più è stata quella dell’astronomo Gerard de Vaucouleurs, mio collega all’Università del Texas, il quale disse di trovare “nostalgica” la mia osservazione. Lo era davvero; era piena di nostalgia per un mondo nel quale i cieli narrano la gloria di Dio”.

Se non più i cieli narrano la grandezza di Dio, lo fa in maniera ancora più grandiosa l’universo, il fatto che non esista solo la terra o la vita sulla terra, non è una negazione dell’esistenza di Dio, anzi i meccanismi perfettamente rodati che hanno permesso all’universo di svilupparsi in maniera così complicata e diversificata ed allo stesso tempo perfetta potrebbero essere essi stessi una prova incontrovertibile della grandezza di Dio, chi se non un essere superiore avrebbe potuto creare simile perfezione? Si pensa davvero che un semplice scoppio di gas abbia potuto orchestrare tutto in maniera così precisa?

Di questo avviso sono molti grandi fisici, Paul Davies, ad esempio, ha affermato: ”Secondo la mia opinione e quella di un crescente numero di scienziati, la scoperta che la vita e l’intelletto siano emersi come parte dell’esecuzione naturale delle leggi dell’universo è una forte prova della presenza di uno scopo più profondo nell’esistenza fisica. Invocare un miracolo per spiegare la vita è esattamente quello di cui non c’è bisogno per avere la prova di uno scopo divino nell’universo”.

Ma se l’universo suggerisce la necessità di uno scopo per la vita, anche il dubbio sullo scopo è una ricerca disperata di risposte, quello su cui si fonda la Fisica e su cui si fonda, in fondo, tutta la vita umana, come suggerito dal Fisico italiano Marco Bersanelli: “L’interrogativo è inevitabile: non ammettere la possibilità che il mondo fisico rimandi ad altro oltre a sé equivale a negare la possibilità di un senso. E talvolta anche chi afferma che tali domande sarebbero nostre invenzioni in fondo spesso nasconde la nostalgia di un significato pieno e totale”.

Luca Scapatello

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Luca Scapatello

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