Il racconto di Graziano Udovisi, unico italiano a sopravvivere alle foibe. Catturato e condannato senza nemmeno un processo alla foiba dalle quale è uscito vivo solo per un caso fortuito. E’ questa la storia di Graziano Udovisi, uno degli italiani che per opera dei partigiani slavi è stato portato per essere ucciso nelle foibe e l’unico ad esserne uscito vivo ed ad aver potuto raccontare il torto subito. Per anni, infatti, è stato imposto il silenzio sui crimini di guerra dei partigiani slavi e sugli italiani mandati a morire nelle foibe, poi nel 2006, quando quel veto era caduto da tempo, Graziano ha raccolto il coraggio ed ha esternato tutto il dolore e l’umiliazione provata in quegli anni di internamento e nei successivi anni di condanna al silenzio in un libro intitolato: “Sopravvissuto ed umiliato”.
In un’intervista concessa a ‘Famiglia Cristiana‘ prima di morire (Graziano è scomparso nel 2010), l’anziano nativo di Pola (Istria) ha raccontato come la firma dell’armistizio e la fine della guerra fu una notizia negativa per gli italiani residenti in Slovenia: “Per l’Italia era una benedizione, ma per noi una maledizione. Fin da subito le notizie dell’occupazione da parte dei partigiani slavi di alcune città istriane erano accompagnate da voci di atrocità perpetrate sui nostri connazionali, soldati e civili”. Udovisi aggiunge che: “Di foibe ancora non si parlava. Fu a metà di ottobre che le voci diventarono tragiche certezze. Partecipai alla prima ricognizione fatta a Vines, in una grossa fenditura rocciosa del terreno dove si sospettava fosse finito il padre di un ragazzo di Albona. Ne usciva un odore nauseabondo”.
Era solo l’inizio, racconta Udovisi che aggiunge: “Il primo corpo a essere recuperato fu quello del l’autista italiano della Questura. Alla seconda ricognizione si trovarono altri due corpi, legati tra di loro da un cavo d’acciaio. In pochi giorni furono rinvenute 84 salme a profondità diverse, fino a 150 metri”. Il terrore di una simile fine lo spinse ad arruolarsi nella milizia difesa Territoriale. Nel 1945, però, la guerra finisce e Graziano si consegna alle truppe partigiane: “Venni subito imprigionato e ammanettato con del filo di ferro. Il primo trasferimento a piedi fu a Dignano, a 10 km da Pola. Durante gli interrogatori mi ruppero i timpani facendomi esplodere dei colpi di fucile vicinissimo alla testa”.
Il prigioniero viene portato in una palestra dove ci sono altri condannati, sopratutto italiani, che vengono torturati in vario modo. Udovisi pensa che sia giunta la sua fine ed un giorno il suo timore sta per avverarsi: “Quindi ci legano in sei, l’ultimo dei quali era a terra svenuto e viene trascinato con il filo di ferro legato al collo. Ci portano fuori e ci trascinano fin davanti alla foiba. Mentre legano un grosso sasso all’ultimo del nostro gruppo, mi metto a pregare”. Il plotone d’esecuzione comincia a sparare, ma lui nella speranza di salvarsi si getta nella foiba dove uno spuntone di roccia spezza il filo che gli legava le mani e gli permette di riemergere. I partigiani si accorgono che è ancora vivo e cominciano a sparare e lanciare granate, senza riuscire a colpirlo. Uscito dalla foiba, Udovisi è tornato a Pola dopo 4 giorni di marcia.
Luca Scapatello