Il parlamento francese, guidato dalla stella (cadente) di Emmanuel Macron, ha appena adottato il testo di due proposte di legge, da tempo al vaglio delle commissioni incaricate, per la lotta alle cosiddette Fake news. Sul senso di questa nuova locuzione e le sue implicazioni politiche si vede il saggio di Enrica Perucchietti (Fake news. Come il potere controlla i media e fabbrica l’informazione per ottenere il consenso, Arianna editrice, 2018)
In sé e per sé la menzogna pubblica, specie se diffusa ad arte e per influenzare i cittadini e gli elettori, dovrebbe certamente essere punita e repressa. E infatti tutti i codici civili e penali delle nazioni civili hanno dei canoni contro il millantato credito, la falsa testimonianza o la calunnia, aggravata quest’ultima se per finalità economiche o politiche.
Ma con le Fake news è una nuova specie giuridica che fa il suo ingresso nella società, nel linguaggio dei media e nella stessa politica.
E questo ingresso è del tutto e per tutto speculare a quello del nuovo lessico orwelliano che da tempo ci viene sapientemente somministrato dall’alto (cf. AA. VV., Neolingua. La cultura dominante dalla A alla Z, edizioni Circolo Proudhon). Per esempio il fantomatico e indefinibile femminicidio (al posto dell’ormai banale omicidio di coniuge o comunque di donna); l’altrettanto inconcepibile concetto di omofobia (al posto della legittima critica all’omosessualità); o la nuova versione del (già vecchio) razzismo: nuova versione che viene chiamata in causa anche quando di differenze razziali non c’è traccia, come nei recenti casi di cosiddetto razzismo territoriale o regionale. E questo proprio mentre si dice, assurdamente, che le razze umane sarebbero costruzioni ideologiche e non evidenze naturali e biologiche.
Le due proposte di legge, sostenute con pervicacia dal partito di Macron, abbondantemente maggioritario in assemblea, ma criticate sia da destra che dalla sinistra di Mélanchon, hanno un punto in comune. La possibilità di censurare, per direttissima, ovvero entro le 24 ore, la diffusione della presunta Fake new. Specie quando essa viene scritta e propagata nei tre mesi precedenti le elezioni, che siano politiche, presidenziali, regionali, eccetera.
Sia Marine Le Pen e Laurent Wauquiez che gran parte delle stesse associazioni dei giornalisti e dei magistrati, (classificate a sinistra) hanno fatto dei comunicati piuttosto critici sulla futura nuova normativa. Paventando il ritorno della censura. Ritorno per modo di dire visto che in Francia esiste, dalla seconda guerra mondiale in poi, un vasto e articolato arsenale giuridico (come le leggi Pleven, Gayssot ed altre, dette “leggi memoriali”) che impediscono agli storici di esprimersi liberamente sui drammi della guerra, sul numero complessivo delle vittime fino all’assurdo di non poter neppure criticare le sentenze dell’infallibile Tribunale di Norimberga. A volte criticabilissimo, si pensi alla strage sovietica di Katyn attribuita ai tedeschi.
Ultimamente in un crescendo da capogiro sono sorte delle norme per combattere l’omofobia, associata impropriamente al razzismo, e perfino per impedire a cattolici e pro life di criticare liberamente l’aborto e le sue conseguenze psicologiche (legge Neiertz del 1993 contro l’istigazione a non abortire…).
Con la solita scusa di tutelate le minoranze etniche, o i soggetti più fragili della società, quali sarebbero le donne e gli stranieri, ecco che si restringe visibilmente lo spazio della libera espressione delle idee. E certi politici anticonformisti e controcorrente non vengono citati o invitati ad esprimersi pubblicamente perché le loro parole favorirebbero l’odio e la discriminazione.
L’attuale ministro della cultura francese, Franck Riester, ha dichiarato che “La manipolazione non è una semplice minaccia, ma già una realtà”, approvando così la logica di fondo delle nuove leggi macroniane.
Il paradosso storico è il seguente: dalla Rivoluzione del 1789 la Francia è considerata, a torto o a ragione, la paladina delle libertà individuali. Oggi però, per una tremenda eterogenesi dei fini, si trova ad essere, e la cosa è riconosciuta da associazioni di ogni profilo ideologico e di ogni orientamento, la nazione delle censure e dei roghi culturali, in cui il dibattito aperto e franco diventa impossibile per mancanza di libero confronto e di analisi aperte e spassionate. La libertà religiosa registra involuzioni di anno in anno e la Chiesa, nella terra di san Luigi e Giovanna d’Arco, è considerata alla stregua di una setta.
Questo spiega abbondantemente il populismo delle piazze francesi degli ultimi anni: dalla Manif pour tous contro le nozze gay ai Gilets jaunes contro Macron e le sue politiche fallimentari. Si ignora ancora l’iter legislativo della normativa anti Fake News, ma con i tempi che corrono, si rischia di imbavagliare la libertà di pensiero proprio mentre si dice di voler tutelare la correttezza dell’informazione.
E nella nostra amata Italia? Da anni e anni ormai si parla di fare leggi contro l’omofobia e di rafforzare le norme contro il presunto razzismo. Così, se uno dirà che in Italia gli stranieri compiono mediamente più delitti degli italiani – cosa dimostrabile attraverso le stesse fonti ufficiali di polizia – potrà essere denunciato e processato per istigazione all’odio razziale. E se uno dirà che le perversioni sessuali sono negative, rischierà grosso. Anzi già oggi rischia grosso… Una coraggiosa intellettuale cattolica, Silvana De Mari, ha evitato di un soffio (per ora) multe e sanzioni, per la sua ferma e nobilissima protesta contro la dittatura del pensiero unico, specie in materia di nozze gay e di critica (scientifica e medica) alla sodomia. La sua incredibile avventura, tra coraggio indomito e repressione del sistema è raccontata ora in un agile libretto (cf. Silvana De Mari, Non facciamoci imbavagliare! La mia battaglia contro l’omologazione della dittatura gay, Fede & Cultura, 2018).
Non facciamoci imbavagliare!
Antonio Fiori
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