Si assiste a critiche anche molto violente da parte di cattolici “progressisti” verso Papa Francesco, per via del titolo della nuova enciclica “fratelli tutti”.
Secondo questi, infatti, la nuova enciclica che verrà firmata ad Assisi discrimina le donna già dal titolo, a prescindere da quale sarà il contenuto della stessa. Insomma, non è ancora uscita ed è già al centro del bersaglio del “politicamente corretto”. Ma come, ci si chiede, Papa Francesco non era il beniamino morale dei “benpensanti” e “buonisti”, pronti a includere tutti e ad avallare ogni scempio sotto il mantra del “chi sono io per giudicare”, tra l’altro ampiamente travasato in ogni citazione fuori contesto?
Le critiche “politicamente corrette” a Papa Francesco
Si legge nel Vangelo di Luca: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?” (Luca 6,41). Il passo evangelico forse potrebbe cadere a pennello per quanti ogni giorno sono pronti ad attaccare quelli che definiscono cattolici “retrogradi” e “medievali” solamente per porre l’attenzione su temi un tempo detti “non-negoziabili” come eutanasia e aborto, di cui peraltro anche negli ultimi giorni Papa Francesco ha ribadito una parola chiara e incontrovertibile.
Caro Papa Francesco. Finché è ancora in tempo, per favore cambi il titolo della nuova encliclica. Quel ‘Fratelli’ (senza sorelle) non si può usare nel 2020. Lei ci ha insegnato il peso delle parole. Il titolo si mangerà il contenuto. L’altro nome di Francesco è Chiara.
— luigino bruni (@bruniluis) September 22, 2020
Per mesi si è attaccato con ferocia chi ha criticato, in diverse forme ed espressioni, il Papa o la gerarchia vaticana per questione le più diverse tra loro, come ad esempio i matrimoni risposati o l’islam, e ora gli stessi si scagliano in maniera inaudita contro il Pontefice chiedendo addirittura di modificare il titolo di un’enciclica ancora non uscita. Una situazione piuttosto spiacevole, che sembra creare ancora più divisione nella Chiesa e che allo stesso tempo mette ingiustamente in cattiva luce Papa Francesco.
Si legga il dizionario: al plurale fratelli si usa anche per le donne
Per la semplice ragione che il titolo dell’enciclica nasce da un versetto di San Francesco D’Assisi, e per la precisione dalla parte finale del suo testo Admonitiones. Un testo in cui si rivolge, come scrive Vatican News rispondendo alle critiche, “a tutte le donne e gli uomini cristiani”. Dunque un testo scritto in latino, ma senza contare che anche nella lingua italiana l’espressione “fratelli” può essere usata tanto per rivolgersi a un uomo quanto a più soggetti di sesso diverso.
Alla voce “fratello” infatti scrive il dizionario della Treccani: “fratèllo s. m. [lat. *fratĕllus, dim. di frater] (pl. poet. fratègli e fratèi). – 1. Ciascuno dei figli nati dagli stessi genitori, nel reciproco rapporto dell’uno con gli altri; nel sing., contrapponendosi a sorella, indica sempre appartenenza al sesso maschile (ho un solo f.; è più alta del f., pur avendo un anno meno di lui), nel plur. invece può indicare sia i soli maschi (tra fratelli e sorelle si vogliono molto bene), sia, con senso collettivo, maschi e femmine (Giulio e Lucia sono fratelli; l’amore tra fratelli; i continui litigi tra fratelli)”.
Perché allora non si critica anche l’Inno d’Italia?
Forse, per adeguarsi al virus crescente di creare una neo-lingua tutta particolare che non discrimini nessuno e che includa tutti, quella per capirsi che usa gli asterischi invece del genere, il Papa dovrebbe inserirlo nel titolo dell’Enciclica, e magari mettere al bando sia i dizionari di lingua italiana che quelli di Latino, evitando però di essere tacciato di nuove Sante Inquisizioni. Ma del “politicamente corretto“. Insomma, una bella lista nera di proscrizioni in cui includere ogni espressione in cui è contenuta la parola fratello.
Prendiamone una su tutti: l’Inno d’Italia. Insomma, ai bastioni della neo-lingua (peraltro, sappiamo che ogni dittatura che vuole imporsi punta come prima cosa a modificare la lingua) forse potrebbe venire in mente che anche l’inno nazionale è discriminatorio e poco “gender inclusive”. Per cui potrebbero semplicemente rifiutarlo, e magari andare a vivere in un altro Paese. Sarebbe forse, tutto sommato, una grande conquista di civiltà, politicamente corretta.
Giovanni Bernardi