Ogni giorno si leggono casi sempre più inquietanti, ma stavolta il limite è stato ampiamente superato. L’azienda è stata costretta a scusarsi e a ritirare il prodotto.
Il sito TransKids ha ideato per bambine disforiche, anche di età inferiore ai 5 anni, delle protesi a forma di pene da legarsi in vita. Ovviamente all’infelice decisione ha fatto seguito una pioggia di critiche, dopo delle quali l’azienda ha rimosso dal proprio sito le pagine legate a questi prodotti. Non tutte però.
Un problema che diventa un dramma se ideologizzato
Da tempo si parla ormai di bambini e “disforia di genere”, come se si trattasse di un problema che può interessare realmente un infante, più che i genitori dello stesso imbevuti di ideologia quando non di inclinazioni perversamente diaboliche.
Nel mondo sembra che esistano uno sparuto numero di casi simili, di bambini legati a disforie di genere. Eppure sembra che per Stati e istituzioni questi abbiano una rilevanza così tale al punto da monopolizzare le decisioni legislative delle istituzioni, programmi televisivi e culturali, eventi pubblici, la catalogazione su quali film o libri possano essere pubblicati o meno, persino le linee commerciali delle aziende di vestiti.
La violenza psicologia del “contagio sociale da baby trans”
Si tratta in ogni caso di un disturbo più che problematico, ma che diventa drammatico nel momento in cui lo si propone come “segno di diversità”, al punto da fare incamminare i piccoli in un vero e proprio percorso di “transizione“, qualcosa che collima con la fine della ragione, se non con una colonizzazione ideologica che evidentemente porta a fare perdere il senso della realtà a chi la propone.
Addirittura c’è chi arriva a parlare di “contagio sociale da baby trans”. In sostanza, un problema imbevuto di ideologia anti-umana diventa una sorta di moda da emulare. E come ogni moda, subito arriva chi ne fiuta il guadagno, in primis le aziende di abbigliamento e, per l’appunto, moda, continuamente in cerca di nuovi “trend” e “target” per produrre e vendere capi.
Nel dramma della pandemia si fa strada un azzeramento umano?
Non a caso, sempre più sui media, al cinema, in libreria, si parla di bambine che diventano bambini, ma senza affrontare la questione per ciò che è, ovvero un disagio da affrontare con i mezzi adeguati. Ma al contrario un nuovo filone di pensiero, una nuova umanità, si potrebbe dire. Per cui, eccolo qua il risultato.
Nel dramma della pandemia in cui tutto il mondo sta abdicando alla propria libertà per consegnarla ad armi basse a Governi sempre più autoritarie e aziende che sembrano sempre più uscite da un film di fantascienza da incubo, la nuova umanità, neutra, gender-less, liquida, si fa strada fin dalla tenera età.
Il vergognoso caso del sito TransKids e le protesi falliche per bambine
Chi infatti è altrettanto malleabile dei bambini? Su di loro, si sarà pensato, bisognerà agire se si vuole creare questo uomo nuovo, del tutto senza radici né identità, quindi controllabile in maniera totale. Il caso del sito TransKids, denunciato da La Nuova Bussola Quotidiana, fa parte di questo mondo da combattere con le unghie e con i denti.
Perché in questo caso si è andati oltre. Non si tratta infatti solamente di abbigliamento. Il sito in questione avrebbe nientemeno che avuto la bella idea di ideare per “le bambine disforiche, anche di età inferiore ai 5 anni, delle protesi a forma di pene da legarsi in vita”.
Un fatto di una gravità inaudita contro cui è necessario agire
La bambina, in sostanza, che si crede un bambino, può così liberamente indossare, nascosto nelle mutandine, una protesi a forma di pene. Così che questa possa aiutarlo a farlo sentire dell’altro sesso da quello che è. E magari, non appena avrà la maggiore età, intervenire in maniera chirurgica o farmacologica.
Un fatto, quindi, con tutta evidenza di una gravità inaudita, per il quale è necessario agire al più presto e nella maniera più decisa che mai. Per comprendere la follia perversa di ciò di cui si sta parlando, si segnala che esiste anche la versione che permette la minzione, in modo tale da permettere alla bimba di fare pipì attraverso questa protesi.
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L’azienda è stata costretta a cancellare il vergognoso prodotto
Una volta diventata pubblica la scandalosa realtà, e dopo che anche i media sono stati costretti, per l’evidenza indifendibile, a descrivere in maniera tutt’altro che elogiativa il prodotto, l’azienda si è trovata a dovere cancellarlo dal proprio sito. In ogni caso la lista è una carrellata degli orrori, e tra gli oggetti ancora disponibili restano, per fare un esempio, le fasce elastiche per ragazzine per appiattire il seno.
Oppure obbrobri di questo genere, nel silenzio generale, pare stiano prendendo sempre più piede. Basta guardare a un altro caso più che esplicativo, quello del brand di abbigliamento Rubies, che tra le altre cose produce bikini per i maschietti che fanno scomparire il pene compresso contro il ventre.
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Le parole sconvolgenti dell’inventore dell’oggetto
L’inventore di questo altro scellerato costume si chiama Jamie Alexander. Suo figlio, ha dichiarato l’uomo, si crede una femminuccia, per questo ha deciso di creargli uno “slip di un bikini che la facesse sentire a suo agio e sicura di sé come una ragazza transgender”.
Ci si chiede con che stomaco si arrivi a fare certe dichiarazioni, e fino a che punto si debba essere ideologizzati per arrivare a pensarle. Viviamo in tempi in cui, parafrasando George Orwell in 1984, il vero è falso e il falso è vero, e dove questo stato di deformazione della realtà, quando non proprio di sovvertimento, si è infilato in maniera così profonda nelle menti di ha abbandonato Dio, che ormai si è disposti a gettare in pasto a questo nuovo mondo persino i propri figli.
Come diceva Chesterton, è proprio vero che chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché crede in tutto. Oggi, però, tutto questo sta producendo effetti fortemente deleteri. C’è bisogno di intervenire per mettere fine a questo dramma, innanzitutto con la preghiera. Invochiamo il Signore affinché permetta all’umanità di ritrovare la retta via, prima che sia troppo tardi.
Giovanni Bernardi