Il tribunale di Roma cerca di controbattere tutte quelle iniziative, per cui l’ufficio anagrafe della Capitale e di altre città come Torino ha registrato i certificati di nascita di bambini con genitori gay, che cioè non li hanno partoriti, ma adottati all’estero.
Si tratta di omosessuali che presentano dei documenti, in cui si attesta che essi, effettivamente, siano i genitori di quei bambini.
In questo caso, si contesta una mala applicazione della legge Cirinnà del 2016, sulle unioni civili, denominata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, che, se parla di pari diritti e doveri tra i membri di una coppia composta da persone dello stesso sesso, non permette loro un’adozione, come quella che sarebbe concessa alle coppie sposate e tradizionali.
Nei casi contestati dal Pm di Roma, ci sarebbe stata una trascrizione dei documenti, redatti in Paesi esteri, dove vige una legge diversa dalla nostra, che avrebbe, semplicisticamente, riportato delle situazioni non adeguabili alla nostra realtà legislativa.
In particolare, si tratta -per il momento- di valutare la posizione di due coppie, una composta da due uomini, l’altra da due donne, che hanno adottato, in totale, cinque bambini.
Come sappiamo, da più parti e da più schieramenti politici, si spinge, perché sia permesso, anche in Italia, come accade già in tantissimi altri Stati, che un bambino possa essere cresciuto da due genitori gay, cosa che non è permessa nemmeno ai sigle eterosessuali.
La famiglia tradizionale, che nel nostro Paese stiamo cercando di difendere, è l’unica in grado di garantire la tutela del minore e della sua sana crescita, che dovrebbe avvenire nella modalità più naturale possibile, grazie ad una mamma (donna) e ed una papà (uomo).
Pare che, invece, voglia prevalere un certo egoismo degli adulti, quello che appaga il desiderio di essere genitori, anche quando non se ne hanno le prerogative essenziali.
Antonella Sanicanti
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