AMA IL PROSSIMO TUO
Chiesero a Gesù: ““Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”. Gli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.”.”.
Se anche l’intera umanità dimenticasse tutto ciò che, nel corso dei secoli, il popolo cristiano ha propagato, riguardo alla rivelazione del Dio fatto uomo, alle sue origini, come alle nostre, e al suo eterno Regno, di cui tutti facciamo parte, basterebbe la frase su citata per risvegliare in chiunque la speranza del Cristo.
Si, amare il prossimo come se stessi è un richiamo che allarga il cuore di ognuno, proiettandolo verso l’altro, senza distinzione alcuna di credo, razza o cultura, poiché il prossimo è chiunque non siamo noi. Amare l’altro come se stessi è un abbandono totale al desiderio, benevolmente privato del proprio tornaconto, di essere si sostegno al prossimo; è anche un campanello di allarme che segnala la presenza e la misura dell’egoismo e dell’indifferenza dilaganti; è nel contempo la massima espressione di rispetto: verso se stessi, poiché bisogna necessariamente amarsi e comprendere ciò che si può dare, prima di donarlo; di Dio a noi, che ci lascia liberi di soppesare e avanzare nella fede, nel e tramite l’amore offerto; di ognuno nei confronti degli altri, nell’atto di rendersi disponibili.
Ed è solo in virtù di questo comandamento -il secondo in ordine di importanza, dice il Vangelo- che saremo in grado di attuare il primo, quello di amare il Signore Dio con tutto l’essere, perché allenati a riservarci un ruolo di umiltà e dedizione.
Da esso poi non prescindono nemmeno le leggi e i profeti, come a sottolineare che nessuna intenzione umana, né di ordine pubblico/religioso, né di consiglio/guida, è veritiera, se mancante della carità vicendevole.
Vi invito a leggere, per proseguire ulteriormente in questa riflessione, il brano di Don Tonino Bello “Dammi, Signore, un’ala di riserva”, di cui qui sotto è riportato uno stralcio:
Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto: possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche tu abbia un’ala soltanto. L’altra, la tieni nascosta: forse per farmi capire che anche tu non vuoi volare senza di me.
Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con te. Perché vivere non è «trascinare la vita», non è «strappare la vita», non è «rosicchiare la vita». Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento. Vivere è assaporare l’avventura della libertà. Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come te!
Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita. Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero. Sono ali spezzate. Sono voli che avevi progettato di fare e ti sono stati impediti. Viaggi annullati per sempre. Sogni troncati sull’alba.
Ma ti chiedo perdono, Signore, anche per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi. Per i voli che non ho saputo incoraggiare. Per l’indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile, con l’ala penzolante, il fratello infelice che avevi destinato a navigare nel cielo. E tu l’hai atteso invano, per crociere che non si faranno mai più.
Aiutami ora a planare, Signore. A dire, terra terra, che l’aborto è un oltraggio grave alla tua fantasia. E’ un crimine contro il tuo genio. E’ un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano. E’ l’antigenesi più delittuosa. E’ la «decreazione» più desolante. Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto. Bisogna mettere in luce. E che antipasqua non è solo l’aborto, ma è ogni accoglienza mancata. E’ ogni rifiuto del pane, della casa, del lavoro, dell’istruzione, dei diritti primari. Antipasqua è la guerra: ogni guerra. Antipasqua è lasciare il prossimo nel vestibolo malinconico della vita, dove «si tira a campare», dove si vegeta solo. Antipasqua è passare indifferenti vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine e si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con te.
Soprattutto per questo fratello sfortunato, dammi, o Signore, un’ala di riserva.
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