Una storia simbolo di uno dei più grandi orrori dell’umanità: un bambino ingannato perché voleva la sua mamma, commuove ancora oggi i nostri cuori. Aveva solo 8 anni quando il suo destino fu segnato.
Sergio fu scelto, insieme ad altri piccoli come lui, come cavia umana e di lì a poco ucciso. Il suo ricordo è ancora vivo e indelebile.
Oggi 27 gennaio è la Giornata della Memoria, una ricorrenza internazionale istituita per commemorare tutte le vittime dell’Olocausto. Era il 1 novembre del 2005 quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, durante la sua 42esima plenaria, la istituisce.
La scelta del 27 gennaio non è stata una data casuale: era proprio oggi, quando nel 1945, l’esercito dell’Armata Rossa, apre per la prima volta le porte del campo di concentramento di Auschwitz, liberando coloro che lì era internati e sopravvissuti e mostrando al mondo gli orrori del regime nazista, nascosti agli occhi di tutti per tanto tempo.
L’apertura dei cancelli di Auschwitz mostrò al mondo intero non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati in quel lager nazista.
Tantissime sono le storie delle vittime e dei superstiti che potremmo raccontarvi, ma ne abbiamo scelta una in particolare, quella di un bambino, usato come cavia umana e, ingannato solo perché “voleva la sua mamma”. Si chiamava Sergio De Simone, era di Napoli, ed aveva 8 anni quando la furia nazista decise di ucciderlo.
Dal quartiere Vomero venne deportato ad Auschwitz come tanti altri ebrei deportati dall’Italia a causa delle leggi razziali emanate anche dal regime fascista. Ma il viaggio della morte del piccolo Sergio non si fermerà ad Auschwitz: proseguirà poi per Amburgo, dove verrà “selezionato”, insieme ad altri 20 bambini come cavia umana per gli esperimenti medici compiuti dal dottor Kurt Heissmeyer.
Figlio di un cattolico e di un’ebrea. Era il 21 marzo del 1944 quando la famiglia di Sergio, e le sue cugine Andra e Tatiana Bucci di 6 e 4 anni, furono arrestati e deportati. Solo le bambine riusciranno a ritornare a casa, proprio dopo la liberazione del campo di concentramento.
Arrivati ad Auschwitz, Sergio è destinato alla “baracca dei bambini” insieme alle cugine. Nel novembre di quello stesso anno, il piccolo è scelto dal dott. Mengele tra i venti bambini (10 maschi e 10 femmine) da inviare al campo di concentramento di Neuengamme, per essere messi a disposizione come cavie umane per gli esperimenti sulla tubercolosi. Un modo semplice utilizzò lo pseudo medico per scegliere i bambini. Fu rivolta loro una semplice domanda: “Chi vuole vedere la mamma faccia un passo avanti”.
Davanti a tale richiesta e, in un clima di terrore assoluto come quella di un campo di concentramento, il piccolo Sergio fu uno di questi piccoli che avanzò perché “fosse portato dalla sua mamma”. Un inganno semplice per un bambino, ma crudele per chi lo aveva architettato.
Alla fine di novembre, Sergio e gli altri bambini destinati a questo orribile esperimento, giunsero al campo di concentramento. Per qualche settimana i bambini vissero un periodo di relativa tranquillità; per la riuscita dell’esperimento si richiedeva che essi fossero in buone condizioni di salute. Ma fu allo spuntare del 1945 che lo pseudo medico nazista decise che era giunto il momento di iniziare i suoi esperimenti.
A più riprese, ai bambini furono inoculati i bacilli tubercolari, causando la rapida diffusione della malattia. Ai primi di marzo, ai bambini, ammalati e febbricitanti, vennero operati per asportare loro i linfonodi, localizzati nella zona ascellare, che secondo le teorie del medico avrebbero dovuto produrre gli anticorpi contro la tubercolosi. Di quel momento si è conservata una serie di venti fotografie, le quali mostrano, uno ad uno, ciascun bambino (incluso Sergio) rasato a zero, a torso nudo, con il braccio destro tenuto alzato a mostrare l’incisione dell’ascella.
Una situazione assurda visto che, una volta inviato questo “materiale” ad un altro medico nazista, fu accertato che nessun anticorpo era stato generato nel corpo di quei poveri bambini. Dall’altro lato, però, l’avanzata dell’URSS in Germania, portò, proprio il 27 gennaio del 1945 all’apertura del campo di Auschwitz.
Era l’inizio della fine del regime. A quella notizia, il medico Heissmeyer aveva lasciato il campo di concentramento di Neuengamme, quando gli Alleati erano ormai alle porte. Ma c’era un problema: far sparire tutte le prove di questi esperimenti, soprattutto i corpi dei bambini e di tutti coloro che a questa barbarie avevano assistito.
Nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1945, Sergio e gli altri bambini furono trasferiti in una scuola amburghese che fungeva da sezione distaccata del campo di concentramento dove si praticavano questi esperimenti. A Sergio e agli altri bambini fu iniettata una dose di morfina e furono quindi impiccati alle pareti della stanza.
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Napoli non ha mai dimenticato le vittime dell’Olocausto, partite anche dal suo territorio. Ed uno di questi è proprio il piccolo Sergio. A lui, infatti, dallo scorso 9 febbraio 2021, è intitolato il Pronto Soccorso dell’Ospedale dei Bambini “Santobono – Pausillipon” della città, con una particolare motivazione: “In un luogo in cui si offre a tutti i bambini, indipendentemente dalle loro condizioni e credo, aiuto e cura, assume maggiore valore simbolico ricordare coloro cui ciò venne negato e per i quali la più umana delle pratiche, la cura dei piccoli, fu tramutata in orrore e tortura. L’assistenza e la ricerca siano sempre fonte di speranza e di amore, antitesi dell’odio e della discriminazione”.
Ma non solo: nel quartiere Ponticelli, alla periferia Est della città partenopea, il parco municipale è intitolato al piccolo Sergio De Simone, dal 1996. Il ricordo di un bambino che non ha potuto vivere la sua infanzia spensierata, per un parco dove a giocare sono proprio i più piccini.
Anche Sergio ne sarebbe felice. Voleva solo vivere la sua età, ma qualcuno glielo ha impedito. Ed oggi e sempre, sarà ricordato.
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