Qual è il legame così particolare tra il ministero sacerdotale e la presenza dello Spirito Santo nella vita della Chiesa? Lo ha spiegato al meglio nella sua testimonianza proprio il “portinaio dello Spirito Santo”, un nome dovuto a una ragione ben precisa.
Proprio attraverso questo importante aspetto, infatti, la Chiesa può ritrovare sé stessa per incontrare i ragazzi e le ragazze che si incamminano oggi sulle strade del mondo.
Ha soli 28 anni, si chiama Don Giuseppe Calabrese ed è un sacerdote materano che viene definito in una maniera del tutto straordinaria, capace di descrivere in pochi termini qual è la vera missione che un parroco ha nei confronti della Chiesa e di tutta la comunità di fedeli.
Il perché di questo particolare nome
Don Giuseppe è infatti diventato lo scorso novembre il più giovane parroco della Basilicata, e di recente ha raccontato cosa si prova ad esserlo, spiegando anche l’importanza della sua missione tra i giovani, di cui a suo modo è rappresentante. Più di tutto, però, ha spiegato in un’intervista rilasciata ad Acistampa, la ragione di questo suo speciale nome di “portinaio dello Spirito Santo”.
“Portinaio dello Spirito Santo perché il mio principale compito come parroco è essere custode della Parrocchia e della comunità e il mio principale servizio è quello oggi di aprire le porte della Parrocchia dall’interno all’esterno della piazza”, ha affermato don Giuseppe.
“Aprire le porte della comunità all’azione potente e rinnovatrice dello Spirito Santo ed aprire le porte a coloro che hanno bisogno di Dio e di essere amati. È importante perciò che anche i portoni delle parrocchie siano sempre aperti anche dopo aver celebrato il Divino Sacrificio perché come ci indica Papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui di affascinarci”.
La missione a cui è chiamato il giovane sacerdote
Don Giuseppe insomma, anche se il parroco più giovane della sua regione, ha ben chiara la natura della missione che è chiamato a portare avanti. “Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale”. ha spiegato.
“Sto notando che i portoni delle nostre chiese devono rimanere sempre più aperti perché ognuno deve ritrovare la dolcezza di stare semplicemente davanti al crocifisso o in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento per gustare l’amore di Dio nei nostri confronti, perché ci dimentichiamo troppo velocemente che Dio ci ama!”.
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Considerazione nate anche dall’osservazione della sua parrocchia per come si relaziona, ad esempio, con i giovani, a cui va dedicato tempo ma anche lasciato spazio all’interno della chiesa.
Il bisogno di dedicare tempo e attenzione ai giovani
“Dedicare ai giovani non i residui del nostro tempo, ma tempo. Tempo per esserci nei loro discorsi. Tempo per esserci nei loro luoghi che vivono e frequentano. Tempo per esserci nelle loro famiglie. Tempo per esserci nelle loro attività ed uscite. Tempo per esserci nei loro dialoghi”, ha spiegato don Giuseppe.
“Poi la coerenza, la radicalità delle scelte e la testimonianza di vita“, è quello che secondo il giovane sacerdote serve per incontrare i ragazzi e le ragazze del nostro tempo.
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“Oggi il Vangelo si potrebbe incontrare su spotify, dove i ragazzi e i giovani passano tanto tempo. Viaggiando con gli autobus ho visto tanti adolescenti che ascoltano tante proposte su spotify e posso dire che spotify, come ogni social media, è la nuova piazza; oggi è la strada che collega Gerusalemme a Gerico per chi conosce un pò dei Vangeli. San Paolo se fosse vissuto nei nostri tempi avrebbe certamente utilizzato anche questi canali principali per annunciare il Vangelo. Ne sono certo! Infine direi che è essenziale un dialogo franco”.