Nel controverso test dello human challenge i volontari vengono prima vaccinati, e in seguito esposti in laboratorio al coronavirus.
L’obiettivo di questo test molto discusso è quello di verificare in tempi rapidi se è possibile raggiungere una protezione efficace dal virus.
A metterlo a punto, l’istituto Niaid, che si sta occupando di ricreare in laboratorio un ceppo di Sars-Cov-2 meno virulento degli altri, al fine di ridurre i rischi delle sperimentazione che stanno avvenendo nei laboratori degli Stati Uniti.
Molti stanno mettendo in dubbio gli aspetti etici e legali di questa pratica, che fino ieri sembrava un’idea non proprio percorribile, mentre oggi appare più come una realtà. La domande è: fino dove sono leciti i limiti consentiti per quello che è stato rinominato “human challenge”, letteralmente “sfida umana”?
I volontari, in questi test, vengono infettati con il coronavirus, in maniera intenzionale. Il virus viene somministrato direttamente nel naso del paziente che decide di sottoporsi all’esperimento. Con questo esperimento dovrebbe essere perciò possibile, all’istante, capire se il vaccino in prova offre una protezione efficace oppure no.
Una pratica dai contorni legali nient’affatto chiari. Che si inserisce all’interno degli studi, svelati dalla venuta, che stanno avvenendo in un laboratorio del governo americano, per mano del National Institute of Allergy and Infectious Diseases guidato dallo scienziato Anthony Fauci.
In questi test si sta cercando infatti di diminuire la carica virale del Covid-19 al fine di poterlo testare meglio sui volontari, riducendone in parte i rischi. Volontari che diventerebbero perciç vere e proprie “cavie umane”, per esperimenti al limite dello “spericolato”. Che permetterebbero tuttavia di ridurre di alcuni mesi la sperimentazione del vaccino americano.
Insomma, una vera e propria gara di velocità, ad esempio contro il concorrente russo, dichiarato quasi ultimato dal presidente Putin. Una competizione in cui valgono “colpi sotto la cintura”, e dove si arriva anche a sperimentare il virus direttamente sui pazienti sani.
In ogni caso, l’istituto ci tiene a precisare che in seguito all’iniezione i volontari potranno tranquillamente condurre una vita normale, con risultati peraltro molto incerti nei Paesi dove il virus non circola in maniera decisa. Non a caso si sta pensando di organizzare questo tipo di prove in Paesi al momento più esposti al virus, e con tassi di contagio ben più elevati di quelli europei, come Brasile o Sudafrica.
L’idea è stata avanzata per la prima volta da alcune testate scientifiche lo scorso marzo. Oggi alcuni parlamentari americani hanno deciso di adottarla ufficialmente, con il via libera dell’Oms.
Le case farmaceutiche che stanno lavorando ai candidati vaccini, come ad esempio AstraZeneca e Johnson&Johnson, hanno subito dato la loro disponibilità ad adottare questo tipo di pratica. Già utilizzata in passato per altre malattie come influenza, malaria, tifo, dengue e colera.
Fino a dove, però, è lecito spingersi nel mettere a repentaglio l’incolumità delle singole persone, rendendole cavie da laboratorio? In nome di un progresso scientifico sempre più dubbio e dai contorni spesso troppo offuscato? E dove sempre più ci si accorge che il fine ultimo non è il bene dell’uomo, ma il dio denaro?
Preghiamo per i medici, gli scienziati e gli uomini che governano le decisioni internazionali, affinché si possa camminare nella direzione del vero e disinteressato bene della famiglia umana e della salute dei singoli. Che il Signore muova i loro cuori a compiere scelte veramente etiche e morali, nella strada che Lui ci ha indicato.
Giovanni Bernardi
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