Se la fede ci indica come prenderci cura della nostra anima, la psicologia sostiene che sia un bene allenare anche la mente ad essere felici e che esistono esercizi utili per mettere in atto meccanismi positivi di pensiero.
Ecco alcuni semplici consigli pratici, utili a sentirsi più felici e stare meglio con sé stessi e con gli altri, partendo dai nostri pensieri.
La felicità è il desiderio più profondo dell’uomo, un desiderio innato che fa parte dell’anima. Ognuno di noi la ricerca, fa di tutto per conservarla o, a volte, la rimpiange. Ci sono momenti in cui sembra che sia molto distante: cosa fare? Di certo, restare con le mani in mano non serve a molto.
Scegliere consapevolmente di essere felice
La fede da sempre ci ha indicato la strada per come aver cura della nostra anima: ecco come in questi cinque spunti pratici per vivere meglio, tratti da studi psicologici, fede e psicologia si incontrano in maniera armonica.
Diciamo di voler essere felici, ma ne siamo davvero convinti? Siamo certi di non essere in qualche modo affezionati a certi meccanismi negativi che non vogliamo abbandonare, o magari a certi peccati?
Essere felici è innanzitutto una scelta, che parte dalla mente e passa ai fatti. Lo psicologo Jonathan Haidt sostiene che è possibile controllare il pensiero per essere più felici. Lo spiega facendo questo paragone: la mente e le emozioni che sono come un elefante; l’uomo, nonostante sia debole, è in grado di esercitare il controllo sull’elefante!
Una strategia psicologica utile potrebbe essere quella, per qualche tempo, di cercare di agire e pensare fattivamente per essere felici, annotando tutte le tecniche utilizzate, in modo da riuscire ad utilizzare solo i comportamenti utili. Cercando poi di scartare quei modi di fare e di pensare che invece ci impediscono di stare bene.
La Madonna di Medjugorje, in tal merito invece, si esprimeva così: “Se volete essere felici, fatevi una vita semplice e umile. Pregate molto e non vi preoccupate troppo dei vostri problemi: lasciateli risolvere a Dio e abbandonatevi a Lui” (4 Gennaio 1982), riprendendo in qualche modo il discorso della montagna e delle beatitudini in cui Gesù proclama “Beati – cioè, letteralmente, “felici” – i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli” (Lc 6, 20).
Coltivare la gratitudine
La gratitudine è un meccanismo che genera gioia sia in chi la ha che in chi la riceve. Nella Bibbia si legge che ringraziare Dio è pegno di ulteriori grazie da parte sua, come ad esempio nella parabola dei dieci lebbrosi: “Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vide, Gesù disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”.
E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (Lc 17, 12-19).
La psicologia ci propone in tal senso un “esercizio di gratitudine”, ideato per la prima volta da Martin Saligman, fondatore della “Psicologia Positiva”. Questo esercizio consiste nel concentrarsi su quante e quali sono tutte le persone che si potrebbero ringraziare nella nostra vita per esserci state vicine in momenti bui.
Sarebbe utile allora annotare i loro nomi prendendo carta e penna e scrivendo su un foglio tutte le sensazioni positive che queste persone ci hanno dato in quei momenti.
Subito si potrà notare come il fatto di sentirsi grati a qualcuno ci farà subito sentire meno soli e più felici. Quando non si ha gratitudine, infatti, purtroppo l’amarezza e la disperazione prendono il sopravvento.
Non portare rancore
Perdonare non è facile per nessuno, ma una cosa è certa: ci è di vantaggio essere risentiti con quella persona che ci ha fatto quel torto? Se considerassimo che probabilmente non ha saputo fare di meglio in quel momento, anche sbagliando, non ci sentiremmo meno offesi?
Proviamo a gettarci alle spalle tutto ciò che ci hanno fatto di male. Rimanere risentiti non ti serve a molto se non a stare male… Infatti, nella maggior parte dei casi, le persone non si rendono conto delle conseguenze di ciò che stanno facendo quando fanno un torto.
Anche in questo caso, proviamo con questo esercizio: scriviamo una lettera di perdono a chi ti ha fatto uno sgarbo, sforzandoci di capire le sue ragioni dal suo punto di vista.
Gesù ci dice in merito al perdono: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6,36-38).
Il perdono dunque genera pace e perdono a sua volta, da parte di Dio, che non tiene conto dei nostri peccati se noi non teniamo conto di quelli altrui.
Dare valore all’amicizia
Coltivare le amicizie è sicuramente un modo per vivere meglio. Uno studio di psicologi australiani ha addirittura scoperto il nesso tra lunghezza della vita e numero di amici: gli over 70 che avevano molti amici vivevano più a lungo dei coetanei con meno conoscenze.
Secondo gli psicologi, l’impoverimento delle relazioni amicali costituisce una delle cause principali della depressione. Avere dei rapporti di amicizia validi e una rete di amicizie solida è sicuramente uno dei fattori per essere più felici.
Recita infatti il Siracide: “Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è misura per il suo valore. Un amico fedele è medicina che dà vita: lo troveranno quelli che temono il Signore. Chi teme il Signore sa scegliere gli amici: come è lui, tali saranno i suoi amici“.
Impegnarsi in attività che per te hanno significato
Le persone felici, solitamente sono impegnate sul piano mentale da qualcosa di appagante. Pensiamo all’ultima volta che siamo stati felici: è difficile che sia stato un momento di totale inattività. Concentrarsi su un compito ci farà sicuramente sentire più felici ed appagati.
In momenti di poca serenità, i ricordi felici a volte si fanno più intensi, perché l’uomo è stato pensato per essere felice, facendo una metafora è stato “programmato” per questo. I suoi “ingranaggi” possono danneggiarsi, ma nella memoria interna resterà sempre l’imprinting della felicità a cui Dio ci ha destinato. Quindi, anche quando ci sembra di aver perso la capacità di essere felici, è allora che dobbiamo ricordarci che, impegnandoci nel darci da fare e nel non abbatterci, potremo ritornare ad esserlo: è anche una questione di fede!