MONDIALI 2018 SI TINGONO DI FEDE, Croazia Francia, la grande sfida!
La nazionale Croata e Francese si contenderanno la Coppa del Mondo 2018 e nell’attesa della finalissima di domani sera, sale la febbre sui social, dov’è un crescendo di post, slogan e immagini di tifosi, tra cui moltissimi italiani, che esultano per la squadra dei Balcani mai andata così avanti al punto di arrivare in finale.
Cos’è che appassiona i tantissimi sostenitori della Croazia, anche i più
distratti e poco amanti del calcio? Si tratta solo di sentita solidarietà sportiva per
un Paese mai giunto prima a questo traguardo o c’è qualcosa o Qualcuno che la fa sentire vicina alle persone?
La nazionale di calcio Croata è l’espressione di un popolo che ha tanto sofferto, e
la sua vittoria – perché comunque andrà a finire la Croazia è già la vincitrice
morale dei mondiali – è anche quella di una nazione soggetta a secoli di
dominazione e persecuzione religiosa, al regime comunista di Tito e, è storia recente, alla terribile guerra
in cui hanno perso la vita oltre 100.000 persone.
Simboleggia il riscatto del debole che viene sottovalutato ed invece è capace di compiere un’impresa titanica su cui ben pochi avrebbero scommesso.
E’ emozionante la testimonianza di Luca Modric, capitano della nazionale croata,
che da “Quasimodo” ovvero il gobbo di Notre Dame, soprannome che gli avevano
appiccicato per via della sua postura, è ora diventato l’idolo di una nazione.
Racconta che al fischio finale della partita contro l’Inghilterra che ha sancito la
loro ammissione alla finalissima, ha chiuso gli occhi e per un attimo, come in un
flashback, ha rivisto tutta la sua infanzia fatta di guerre, violenze e mancanza di
cibo, lui che da piccolo durante il periodo del conflitto, calciava continuamente il
pallone contro il muro, all’esterno dell’albergo che ospitava lui e la sua famiglia
come rifugiati, e sognava da sempre di scappare da tutto quell’orrore che lo
circondava e di giocare in grandi stadi.
Il suo più grande desiderio era diventare un calciatore e sembrava allora impossibile, gli altri non si capacitavano di come poteva pensare al calcio in un momento del genere. Ma lui nonostante tutto non ha mai smesso di desiderare di avere quel pallone tra i piedi che non lo faceva pensare al male intorno a lui. Finita la guerra, suo padre lo iscrisse in una scuola
calcio, nelle giovanili dell’ Hajduk Split dove fu rifiutato due volte.
Dicevano che non poteva giocare perché troppo magro. Allora suo padre senza perdersi
d’animo lo iscrisse alla Dinamo Zagreb e da quel giorno la sua vita cambiò. “E
oggi sono qui in finale di coppa del mondo con la mia Croazia. Come fai a
non piangere?” Parole che commuovono perché trasmettono tutta l’intensità di
una vita sofferta e poi riscattata contro ogni pronostico così come sta accadendo
oggi alla nazionale croata. E non è il solo a far parlare di se.
Altra grande testimonianza è quella del CT, Zlatco Dalic, nominato in un primo
momento tecnico provvisorio e poi confermato come commissario tecnico alla
guida della nazionale croata dopo aver dato prova convincente delle sue doti
nelle due partite, prima con l’Ucraina e poi con la Grecia che sono valse alla
Croazia la qualifica ai mondiali.
Zlatko Dalic (il commissario tecnico) è cattolico praticante, nato a Livno, in Bosnia, il 26 ottobre 1966,
sotto il comunismo di Tito che proibiva di professare il proprio credo e tante
sono state le vittime innocenti della follia anticlericale del regime, ciò
nonostante, Dalic, a rischio della sua stessa vita, ha svolto il compito di
chierichetto nella chiesa vicino a casa, la più vicina al monastero francescano. Poi è scoppiata la guerra ed è stato
arruolato come tanti altri giovani che non hanno fatto più ritorno alle loro
famiglie. Una fede – ricevuta in dono dalla madre – che è stata forgiata dal dolore come quella della gente
croata di Bosnia che secoli di persecuzioni e il tragico conflitto degli anni
novanta non solo non hanno represso ma hanno rafforzato, e che oggi lo aiuta a
guardare alla vita con profondità e umiltà, dando per primo l’esempio ai suoi
giocatori.
Durante l’intervista a Glas Koncila, settimanale ufficiale dell’Arcidiocesi di
Zagabria, Dalic ha parlato della croce che ciascuno di noi porta, in un modo o
nell’altro, dei momenti difficili che arrivano per tutti, ma l’uomo non deve
arrendersi, lasciarsi affondare, cadere. Tuttavia “solo con la fede l’uomo può
ritornare sulla strada giusta. E’ necessario portare la croce nel modo più
dignitoso possibile, portarla con forza. Tutte le situazioni, anche quelle che
sembrano senza via d’uscita, hanno una soluzione, tuttavia è necessario
credere”.
Il CT croato ha raccontato che in passato si è perso dietro cose futili. Ora, dice,
“comprendo che l’uomo deve consacrarsi alla famiglia e non solamente
correre dietro al lavoro e ai soldi. Dio è presente quotidianamente nella
mia famiglia e nella mia vita,… e per tutto ciò che ha avuto nella mia vita
posso ringraziare la fede e il buon Dio”.
C’è un dettaglio che non è sfuggito alle telecamere, Dalic assume talvolta una
posa un pò inusuale, con la mano destra in tasca e con la mano sinistra dà
indicazioni ai suoi giocatori. E’ lui stesso a fornire una spiegazione: “Il Rosario è
sempre con me, e quando mi sento un pò agitato, metto la mano in tasca,
stringo il rosario, e tutto diventa più semplice”. Un Rosario che ha raccontato
di aver fatto benedire a Medjugorje – dove si reca spesso a pregare, l’ultima
volta prima di partire per la Russia – che non assume di certo il valore di un
amuleto usato con superstizione, né la sua intenzione è di pregare per vincere le
partite – come alcuni malpensanti hanno sostenuto. E’ un gesto sincero e
consueto per uno che da sempre vive la fede con spontaneità e si affida al
Signore in ogni momento della sua vita, anche professionale e quindi anche
durante una partita, per farsi guidare e trovare la pace interiore nei momenti di
prova, piccola o grande che sia. E con tutto rispetto per il calcio quest’uomo è
abituato a sfide ben più grandi dei mondiali. Con la Croazia in finale quello che
per alcuni è solo un gioco, ha assunto connotati storici e valori molto più
profondi, da quello della sofferenza che trova il suo riscatto, a quello della vita, dono incommensurabile, che non smette mai di sorprenderci e di regalarci sogni
che talvolta sembrano impossibili.
Simona Amabene