Il motto più utilizzato dal mondo lgbt è quello in cui viene affermato che sarebbero discriminati. Ma siamo sicuri che sia la verità?
Vedendo gli sponsor miliardari che sostengono apertamente le loro “battaglie”, infatti, si direbbe tutto fuorché il mondo lgbt sia “discriminato”, “emarginato”, minoranza. La cosiddetta comunità Lgbt gode infatti di straordinari appoggi economici da parte della quasi totalità dei gruppi più ricchi del mondo, il famoso 1 per cento della popolazione mondiale che detiene la ricchezza economica del restante 99.
In Italia ormai vediamo tutti i vip che vanno più forte sui vari social network, motori di ricerca, piattaforme streaming e via dicendo appoggiare enormemente il Ddl Zan. Sicuramente non si tratta di membri della classe operaia che sostengono il provvedimento pro-lgbt, tutt’altro. Si tratta di personaggi le cui voci vengono veicolate al grande pubblico solamente perché fanno comodo alle stesse piattaforme che diffondono le loro parole, risuonanti nel resto del circuito mediatico.
Negli Stati Uniti, come scrive la rivista Il Timone, la questione è ancora più evidente. L’interesse dei grandi potentati economici è semplicemente legata al fatto, in prima battuta, che c’è un business da cavalcare. Moda, film, prodotti commerciali nuovi, destinati alla parità dei sessi, al gender neutral, alla fluidità di genere. Insomma, prodotti e vestiti da uomini alle donne e viceversa, e così si raddoppia il proprio business: una trovata non da poco.
Negli Stati Uniti si sta infatti discutendo della legislazione federale statunitense che va sotto il nome di Equality Act. A leggere i nomi dei sostenitori, però, non sembra affatto che si tratti di un provvedimento in difesa delle minoranze discriminate, anzi: ci sono tutte le più importanti industrie del Pianeta a finanziare l’iniziativa con fior fior di dollari.
A pochi importa se la stessa legge è stata giudicata come un pesante macigno sulla libertà religiosa nel Paese, un tema che da sempre ha rivestito un’importanza centrale per gli States, e che ora si vede non solo attaccato ma anche pesantemente svilito. Sono oltre quattrocento le società americane che oggi sostengono quindi la legislazione federale pro-Lgbt, e si tratta di nomi assolutamente altisonanti, capaci di sorreggere l’intero impianto economico nazionale e anche internazionale.
Per fare qualche nome, parliamo di American Airlines, Apple, Coca-Cola Company, Smirnoff, Google, Intel, Lyft, Microsoft, Nationwide, Northrop-Grumman, Target, UPS, persino Pfizer. Avete sentito bene, proprio l’azienda che ad oggi sta producendo vaccini da distribuire in tutto il mondo. Tra le compagnie catalogate come gold, ovvero presumibilmente quelle che hanno versato maggiori introiti economici, ci sono Capitalone, Carnival, Lexus, Nike e Nordstrom.
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Un totale di 416 aziende che sostengono l’iniziativa legislativa e hanno la loro sede aziendale in 33 Stati americani che hanno versato alla causa lgbt ben 44,6 milioni di dollari. Aziende che fatturano, insieme, una cifra pari a 6,8 trilioni di dollari per un totale di 14,6 milioni di dipendenti. “Insomma, se l’antico adagio follow the money vale ancora, allora possiamo dire che dietro la campagna martellante Lgbt si nascondono interessi enormi, ancora di difficile quantificazione”, scrive il quotidiano Il Timone.
Un dubbio che è certamente legittimo, e che mostra la realtà di cui non si parla ma che segna nel profondo il dibattito sulla questione gender. Quando si chiede a chi fa comodo l’approvazione di determinati provvedimenti, come ad esempio in Italia il Ddl Zan, qui potrebbe senza dubbio esserci una risposta.
Contro tutto questo si sono scagliati duramente i vescovi americani. In una lettera del 23 febbraio scorso i religiosi hanno affermato che l’Equality Act è arrivato addirittura a costringere le istituzioni religiose e i credenti a sottostare a determinati diktat all’interno di eventi sociali o persino nei luoghi di lavoro. In futuro, il disegno di legge potrebbe teoricamente persino costringere le Chiesa ad ospitare eventi palesemente contrari al loro credo, distruggendo in questo modo la libertà religiosa nel Paese.
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Il fatto per esempio che l’Equality Act introduce orientamento sessuale e identità di genere come categorie protette dalla legge federale, proprio come in Italia con il Ddl Zan, minerebbe terribilmente la libertà religiosa, ha denunciato la Conferenza Episcopale statunitense. Secondo i vescovi americani, infatti, il vero obiettivo della legge è quello di punire punire i gruppi religiosi che non riconoscono il “matrimonio” o più in generale l’ideologia lgbt.
Giovanni Bernardi
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