La decisione di Matteo Salvini di censire i rom che risiedono nei campi nomadi in Italia ha suscitato non poca tensione. La polemica non nasce tanto dall’idea del censimento (misura già applicata in passato da alcune regioni) ma dall’utilizzo del termine “Schedatura” che ha ricordato la “Denuncia di razza ebraica” di stampo fascista. A ricordare a tutti cosa hanno significato nella nostra storia recente le schedature ci ha pensato il direttore del tg di La 7 Enrico Mentana che, in diretta, ha mostrato un documento dell’epoca fascista commentando in questo modo quello che si spera fosse un lapsus del Ministro dell’interno: “Voglio ricordare a tutti che in Italia, 80 anni fa, si iniziò a schedare. Voglio farvi vedere un’immagine sola: la fotografia di una denuncia di appartenenza alla razza ebraica. E’ un documento del febbraio 1939, quando un cittadino di Milano, Alberto Segre , andò davanti al rappresentante del Podestà a dire che lui si dichiarava di razza ebraica, come chiedeva la legge”.
A questo punto è dovere di cronaca precisare che Salvini ha fatto un passo indietro dicendo di aver sbagliato il termine e di voler intendere, con toni enfatici e da propaganda elettorale, di voler fare un censimento dei rom presenti in Italia. La seconda versione del ministro dell’Interno è stata confermata dal leghista Bitonci che intervistato ha difeso il proprio leader dicendo: “Mi sembra strano che un censimento non esista già. Poi… le parole. Magari durante un talk un comizio si una una parola come ‘Schedatura‘, ma Matteo Salvini ha già spiegato che voleva indicare un mero censimento”.
Il censimento dei rom già esiste è stato fatto anche in Emilia Romagna
Archiviata la diatriba sull’errore lessicale di Salvini, torniamo a considerare l’idea di un censimento dei campi rom. L’idea del ministro dell’Interno non è nuova è stata già proposta in alcune regioni d’Italia e si tratta di un provvedimento preso in considerazione dal Pd. D’altronde trattandosi si cittadini italiani, i rom hanno come tutti gli altri il dovere di essere iscritti all’anagrafe. I dati così raccolti permettono ai comuni di conoscere il livello d’istruzione, quello di integrazione con il resto della società e la tipologia di lavoro svolto.
Interessante in questo senso scoprire che in Emilia Romagna sono più di mille i rom presenti (in base al censimento del 2012) che hanno tutti o quasi frequentato le scuole dell’obbligo e che non hanno invece istruzione di secondo livello. La maggior parte di questi si è registrata come lavoratore autonomo (in larga parte circensi) mentre solo una minima parte (il 21 %) ha un lavoro a tempo indeterminato e ancora meno (il 10%) un lavoro a tempo determinato.
Luca Scapatello