Secondo l’algida presidentessa del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, l’Europa dovrà accogliere ancora milioni e milioni di migranti, specie di provenienza africana. Anzi la sola Spagna, una minima porzione del continente europeo, entro il 2050 dovrebbe imperativamente essere rimpolpata da almeno 5 milioni di stranieri, per ragioni di riequilibrio economico e per combattere l’insidiosa denatalità iberica.
Figure internazionaliste e “borghesi” nel senso delnociano come la Lagarde vivono in artificiali bolle di sapone, completamente sconnesse dalla realtà di tutti i giorni e danno ragione a chi denuncia la dominazione ormai conclamata della super-classe cosmopolita sui veri interessi della gente comune (si veda il rigoroso saggio sul tema di Michel Geoffroy, La super-classe mondiale contre les peuples, Via Romana, 2018).
Oggi è facile sentir parlare, in modo critico, di nuovo ordine mondiale, di mondialismo o di relativismo etico. Ma queste correnti ideologiche trovano un collante nel cosmopolitismo, termine più raro ma forse più adeguato alla realtà contemporanea.
Il cosmopolitismo è una visione del mondo piuttosto arcaica che alcuni fanno risalire a Diogene il cinico (412-323 a.C.) il quale, secondo il suo biografo Diogene Laerzio, per primo avrebbe usato la parola greca di cosmopolita, nel senso etimologico di abitante del mondo (cosmos) più che di una città e di una patria (polis). Come si vede quindi i progressisti e i laicisti, fanno fare assurdi salti all’indietro all’umanità: dallo Stato di diritto, che ha tra i suoi presupposti insuperabili, la distinzione netta tra cittadino e straniero, sino a Diogene il cinico!
Del resto chi in nome dell’universo rifiuta la piccola patria nativa è uno sradicato ed un alienato come chi mettesse sullo stesso piano i figli del prossimo e i propri. Gesù stesso, esempio di amore sconfinato, ha preferito i propri genitori Maria e Giuseppe ai genitori altrui, ed i propri discepoli ai discepoli di altri maestri.
Oggi il pensiero cosmopolita coincide con il cosiddetto Pensiero unico o pensiero dominante (totalitario), e le sue menzogne, riprese e propagandate per ogni dove, formano la doxa comune delle odierne società liquide e prive di forma. Questa liquidità, descritta dal sociologo Zigmunt Bauman, è destinata a travolgere ogni tradizione, ogni sapere ed ogni verità scientifica e morale che non si adatti alle volontà egemoni dei padroni del vapore.
Il dna del cosmopolitismo sta in questo: si auspica l’abbattimento di tutte le frontiere che dividono il vero dal falso, il bene dal male, il bello dal brutto, il naturale dall’artificiale. La preferenza della propria nazione alle altre è naturale, quindi va demolita, iniziando a istillare l’internazionalismo nella scuola primaria e negli asili. La preferenza per la propria famiglia è anch’essa naturale ed innata, e anch’essa quindi va sabotata, e condannata come ‘familismo amorale’ (secondo la celebre espressione di Edward Banfield). L’eterosessualità è produttiva mentre l’omosessualità no? Non importa, meglio essere queer (strani) piuttosto che convenzionali e tradizionalisti: la tradizione per i cosmopoliti al potere è sempre qualcosa di sospetto.
Negli anni 60 e 70 del XX secolo l’Europa iniziò a registrare un incremento significativo delle migrazioni. E la ragione principale per cui tali migrazioni furono favorite dai governi stava nelle richieste esplicite delle classi dirigenti e industriali, le quali contavano sulla manodopera a basso costo, per ridurre i salari e contenere le conquiste sindacali. Questo discorso era fatto anche dalla sinistra ed era condiviso da molti sociologi e analisti.
Dopo la crisi economica di inizio millennio (2008-2018), e con una disoccupazione importante e stabile, specie nella zona euro (a confronto con i paesi euro free come la Svizzera, la Norvegia, la Gran Bretagna o l’Ungheria), l’immigrazione-invasione viene giustificata in modo nuovo dalle classi dominanti del cosmopolitismo e dalla terza gamba antipopolare delle sinistre (i cosiddetti idioti utili).
La super classe mondiale, rappresentata da magnati come Soros e Benetton o da politici come Obama, Pedro Sanchez e Matteo Orfini, ha un nemico comune, dai media ribattezzato populismo. Etimologicamente, null’altro che la difesa prioritaria della nazione e del popolo, e dell’omogeneità culturale nazionale. I progressisti d’Occidente, rimpiazzando il collettivismo con il multiculturalismo, non colgono più il senso della storia e contribuiscono così a creare fuochi fatui e roghi culturali per i presunti razzisti.
Questo cosmopolitismo vuole fabbricare a tutti i costi società disomogenee, ignorando che l’omogeneità (etnica, culturale e religiosa) dei popoli è un fattore di solidarietà sociale, di sicurezza psicologica dei cittadini, di unità profonda tra uomini e donne. Le società divengono caotiche in proporzione della loro disomogeneità culturale e le società multirazziali tendono a diventare società multi-razziste, colme di ghetti più o meno palesi: ghetti cinesi, africani, filippini, dei latinos…
E’ impossibile ricreare dei legami sociali forti, in assenza di un progetto comune di civiltà. E non è possibile neppure riscoprire e condividere una forma di civiltà senza una religione comune (almeno nel senso culturale della parola, come la religione civile dei cristiani anonimi e non praticanti).
Ma la Chiesa stessa, che per secoli fece da collante alla civiltà europea, appare divisa su questi temi cruciali dell’attualità. Se l’episcopato ungherese e polacco sono in sintonia con i progetti politici di rafforzamento dell’identità dei rispettivi presidenti Orbán e Duda, i vescovi di altri paesi, come la Germania e la Francia, sembrano inclini al cosmopolitismo egemone, compresa la lotta contro ogni tipo di frontiera (culturale, nazionale, etica…).
Le guerre tra i popoli europei, che insanguinarono il Novecento causando oltre 50 milioni di morti, sembrano per fortuna solo ricordi del passato. Stiamo però assistendo a delle guerriglie non dichiarate all’interno dei popoli e delle metropoli, e la guerra civile anche dagli antichi era considerata il massimo delle sciagure.
La politica rivoluzionaria che ci promettono con una certa irriverenza Matteo Salvini e Luigi Di Maio sarà imperniata su questa decisiva lotta per la civiltà o si limiterà a gestire il presente? Chi vivrà vedrà.
Antonio Fiori
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